NEWS | Iran

Anche la Cattolica grida “Zan, Zandegi, Azadi!”

21 ottobre 2022

Anche la Cattolica grida “Zan, Zandegi, Azadi!”

Condividi su:

Zan, Zandegi, Azadi! È probabilmente questo lo slogan più gridato dai giovani iraniani nel corso delle proteste che, dopo l’omicidio di Mahsa Amini, stanno infiammando Teheran e le principali città del Paese. Significa Donna, Vita, Libertà! e, mercoledì 19 ottobre, è risuonato anche nelle aule dell’Università Cattolica in occasione dell’incontro promosso da Comitato Pari Opportunità dell’Ateneo, Master Aseri in Middle Eastern Studies (MIMES) e Community Alumni. Davanti ai tanti studenti che hanno partecipato all’iniziativa le parole, dirette, di due alumnae iraniane: Ghazal Poorhasan e Arouna Roshanian.

Ad aprire l’incontro altre importanti testimonianze, quelle delle tantissime lettere che la Cattolica ha ricevuto nell’ultimo mese da tantissime studentesse iraniane che alla “loro” università chiedono sostegno, ma, soprattutto, voce. A leggerle in aula la professoressa Raffaella Iafrate, delegata del Rettore alle Pari Opportunità: «In questi giorni - ha detto - abbiamo assistito a tanti gesti simbolici di sostegno alla causa delle giovani iraniane come, ad esempio, il taglio della ciocca di capelli. Come Università Cattolica abbiamo deciso che la nostra “ciocca di capelli” debba rispecchiare prima di tutto la mission dell’Università che è culturale, scientifica e anche relazionale. Il compito dell’Ateneo, infatti, è quello di mettere al servizio di tutta la comunità accademica un sapere, una riflessione competente e uno spazio di dialogo e di confronto che è alla base di un processo di consapevolezza in grado di sostenere una comunicazione di informazioni corrette e documentate che si concretizzi in un’azione unitaria e collettiva. La protesta iraniana non è solamente una questione di genere ma generazionale oltre che culturale. È nostro dovere - ha concluso Iafrate - difendere il diritto di tutti a essere persona».


«Le nuove generazioni sanno davvero quello che vogliono – ha spiegato Ghazal Poorhasan, autrice della riflessione pubblicata sul nostro sito - e hanno la memoria collettiva di tutte le ferite, in particolare le donne, che sono molto coraggiose. Io sono spaventata perché abbiamo assistito a molta violenza verso tutti quelli che avevano partecipato alla protesta. Non è una questione personale ma di tutti quelli che chiedono il rispetto dei diritti. Sono molto orgogliosa nel poter affermare che l’immagine delle donne iraniane è cambiata, tutti lo possono vedere. Nonostante la violenza, la deprivazione, noi ci siamo alzate in piedi, per molti anni, abbiamo resistito contro il regime attraverso la disobbedienza e oggi siamo attive nella protesta contro di esso».

Arouna Roshanian è nata in Iran ma è cresciuta in Italia dove la sua famiglia si è rifugiata quando aveva solo un anno all'alba della rivoluzione islamica perché la sua famiglia è di fede Bahai, una religione che ha come fondamento l'unità reale e spirituale di tutta l'umanità e che per questo è stata, ed è tuttora, perseguitata dal regime.

«Adesso - ha raccontato Arouna - la situazione in Iran, a causa della tragica vicenda di Mahsa, è più nota all'esterno ma situazioni simili accadono da anni, decenni. L’acuire delle proteste dimostra come il popolo iraniano è al limite della tolleranza. E considerate che fuori arriva una parte minima delle notizie visto che internet è stato chiuso. Per questo è importante la sensibilizzazione dei media il "no" deciso della comunità internazionale alla repressione violenta del regime».

«Lo slogan Donna, vita, libertà ripetuto dalle donne iraniane - ha spiegato il professor Riccardo Redaelli, docente di Storia e istituzioni dell'Asia presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali - è potente ma non spiega tutto. L'Iran è un Paese complesso e ogni tentativo di capirlo in velocità non ci aiuta. Ripercorrere il filo della storia è utile perché questa è una crisi che parte da lontano. Sparare sui propri cittadini, sono centinaia i morti negli anni scorsi, rievoca il periodo della dittatura dello Scià».

«I giovani – ha aggiunto Redaelli - sono esasperati perché c’è un insopportabile interferenza nel quotidiano. Il sistema ha progressivamente eliminato tutte le opposizioni: riformisti, pragmatici e moderati. Ma così facendo hanno commesso un errore perché un regime più rigido che sopprime ogni dissenso è sempre più esposto e prossimo al fallimento. Ma se in passato c’era un Khomeini come leader radicalizzante oggi non esiste una élite politica capace di unire le proteste e di dare una piattaforma politica unitaria e radicale contro il sistema. Senza dimenticare, poi, che le proteste, per la prima volta si stanno combinando in un momento di profonda crisi politica, sociale ed economica. L'imposizione del velo, l'ostentazione della scena religiosa, il rifiuto della cravatta "occidentale" sono simboli di un palcoscenico dietro al quale ormai non c’è più nulla. Quando i sistemi diventano così rigidi e sconnessi della realtà rivelano tutta la loro debolezza. Per questo quando Ghazal nella sua riflessione scrive che “questa volta è diverso” ha ragione».

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti