L’importanza della cura, della compassione, del conforto è tornata più volte nell’omelia del Santo Padre, dove non sono mancati riferimenti all’incertezza del momento che ha reso tutti noi più piccoli e fragili. Forse per questo, in questo tempo di pandemia, può esserci d’aiuto «ri-cordare» che per papa Francesco «significa “ritornare con il cuore”». Tuttavia, ha osservato il Santo Padre, «nella fretta di oggi, tra mille corse e continui affanni, stiamo perdendo la capacità di commuoverci e di provare compassione, perché stiamo smarrendo questo ritornare al cuore, il ricordo, la memoria. Senza memoria si perdono le radici e senza radici non si cresce. Ci fa bene alimentare la memoria di chi ci ha amato, curato, risollevato. Io vorrei rinnovare oggi il mio “grazie” per le cure e l’affetto che ho ricevuto qui. Credo che in questo tempo di pandemia ci faccia bene fare memoria anche dei periodi più sofferti: non per intristirci, ma per non dimenticare, e per orientarci nelle scelte alla luce di un passato molto recente».
Di qui la necessità per il Santo Padre di «coltivare l’arte del ricordo, facendo tesoro dei volti che incontriamo». Il pensiero va alle «giornate faticose in ospedale, in università, al lavoro. Rischiamo che tutto passi senza lasciare traccia o che restino addosso solo tanta fatica e stanchezza. Ci fa bene, alla sera, passare in rassegna i volti che abbiamo incontrato, i sorrisi ricevuti, le parole buone. Sono ricordi di amore e aiutano la nostra memoria a ritrovare sé stessa. Quanto sono importanti questi ricordi negli ospedali! Possono dare il senso alla giornata di un ammalato. Una parola fraterna, un sorriso, una carezza sul viso: sono ricordi che risanano dentro, fanno bene al cuore. Non dimentichiamo la terapia del ricordo!».
Passione è la seconda parola su cui riflette il Santo Padre che ricorre all’immagine del Sacro Cuore per spiegarla. Essa «è l’icona della passione: ci mostra la tenerezza viscerale di Dio, la sua passione amorosa per noi, e al contempo, sormontato dalla croce e circondato di spine, fa vedere quanta sofferenza sia costata la nostra salvezza». Per questo «se vogliamo amare davvero Dio, dobbiamo appassionarci dell’uomo, di ogni uomo, soprattutto di quello che vive la condizione in cui il Cuore di Gesù si è manifestato: il dolore, l’abbandono, lo scarto. Quando serviamo chi soffre consoliamo e rallegriamo il Cuore di Cristo. Un passaggio del Vangelo colpisce».
La terza parola, conforto, secondo Papa Francesco «indica una forza che non viene da noi, ma da chi sta con noi. Gesù, il Dio-con-noi, ci dà questa forza, il suo Cuore dà coraggio nelle avversità. Tante incertezze ci spaventano: in questo tempo di pandemia ci siamo scoperti più piccoli e fragili. Nonostante tanti meravigliosi progressi, lo si vede anche in campo medico: quante malattie rare e ignote, quanta fatica a stare dietro alle patologie, alle strutture di cura, a una sanità che sia davvero come dev’essere, per tutti. Potremmo scoraggiarci. Per questo abbiamo bisogno di conforto».