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Leggere per trovare le parole giuste per raccontarsi

04 aprile 2023

Leggere per trovare le parole giuste per raccontarsi

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La lettura, che è un valore applicato in funzione della sapienza, cioè dell’acquisizione di un sapere, deve avere due caratteristiche fondamentali, le stesse del cibo: il gusto e il nutrimento, perché ci dà vita e ci tiene in vita. È lo scopo che Vita e Pensiero, casa editrice dell’Università Cattolica, si prefigge con la sua “Scuola di lettura”, un ciclo di incontri in cui uno scrittore sceglie un’opera impostando un dialogo immaginario con l’autore. Per la quarta tappa, giovedì 30 marzo, è stato selezionato "Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati, capolavoro del Novecento. A dialogare con i lettori è stato don Paolo Alliata, sacerdote della chiesa di Santa Maria dell'Incoronata, dove è anche promotore di un ciclo di letture che fanno scoprire il respiro di Dio in romanzi ultralaici, da quelli di Primo Levi a Harry Potter. Come autore per Ponte alle Grazie ha pubblicato Dove Dio respira di nascosto (2018) e C'era come un fuoco ardente (2019) e Gesù predicava ai bradipi (2021).

«Ho scelto questo libro perché l’ho letto per la prima volta qualche anno fa – esordisce Alliata – e, leggendo un racconto a quarant’anni anziché al liceo, è più facile trovarci dentro le parole giuste per descriversi. Ecco, ognuno legge per tante ragioni: per me, l’effetto principale della lettura è che trovo le parole giuste per raccontare me stesso». Il tema chiave del romanzo è quello della fuga inarrestabile del tempo; tempo che è un grande generale, che illude, seduce e abbandona, promette e non mantiene. Tanto che, all’inizio della sua avventura, il protagonista Giovanni Drogo sente che il tempo migliore, quello della giovinezza, è già alle sue spalle.

«Tante volte a proposito dei romanzi di Buzzati si è detto del suo essere nichilista per la sua visione triste della vita e dell’impossibilità di godere di una speranza – dice –, ma in realtà il tempo che scorre non ci impedisce affatto di gioire della vita. Della gioia di Giovanni Drogo si parla solo alla fine dell’ultimo capitolo del romanzo, quando il protagonista deve fare i conti con la morte». Allora, per Alliata il vero messaggio dell’autore è un altro: «Il fatto che la vita ha una fine ci deve spingere a volere vivere veramente quella che abbiamo ancora tra le mani».


Un’altra questione presente nel romanzo e, più in generale, nelle opere dello scrittore è quella che Alliata definisce il lessico del richiamo. «In Buzzati, una nuvola non è mai solo una nuvola. È un messaggero, una voce da lontano che ti chiama e ti parla». Le montagne, la vita militare, l’avventura: tutti elementi che hanno esaltato Giovanni Drogo e che lo hanno trattenuto alla Fortezza Bastiani, facendogli rinunciare di conseguenza a un ritorno a casa. Un tema che mette di fronte a delle scelte: «Esiste nei Vangeli, per esempio nel primo incontro tra Gesù e Pietro – fa notare Alliata – ed è anche quello che è accaduto a Madre Teresa di Calcutta, quando ha deciso di servire i poveri abbandonando la tranquillità del convento». I messaggeri ci chiamano a lasciare la nostra vita se diventa troppo rassicurante, superficiale, senza slanci.


La terza parola-gancio è l’attesa. Sì, ma di che cosa? Tutti aspettiamo qualcosa che probabilmente non arriverà mai e il protagonista del romanzo ha impiegato tutta la vita per accorgersi che quello che aspettava non era l’arrivo dei nemici. «Giovanni si è preparato per un grande evento che non è la Guerra del Nord, ma la sua morte è la vera ultima battaglia. Lui lo realizza nella stanzetta della locanda, un’immagine molto simile a Gesù nell’orto degli ulivi». La morte è un’apparente nemica, perché poi si rivela essere un grande abbraccio, come un bimbo che si affida al sonno. «Un romanzo come questo – conclude Alliata – mi spinge a non sprecare la vita, perdendomi occasioni e non cogliendo quelle che ci sono in attesa di qualcos’altro. E per vivere eroicamente, come il protagonista, non è necessario mutare le nostre condizioni di vita. Basta solo cambiare il modo di starci dentro».

Un articolo di

Matteo Galié

Scuola di giornalismo

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