È lunga e variegata l’esperienza di giornalista RAI di Luciano Ghelfi, alumnus dell’Università Cattolica. Attivo dal 1991, prima al Giornale Radio Rai, poi dal 1995 al Tg2, si è sempre occupato di politica interna da giornalista parlamentare, da inviato, da capo della redazione politica e, dal 2015, da quirinalista.
Questa è la sesta elezione presidenziale che segue. Un testimone qualificato di questo atto così importante per la vita istituzionale e politica del Paese. A lui abbiamo chiesto qualche impressione sull’imminente elezione del Presidente della Repubblica e qualche ricordo del passato vissuto nel backstage in posizione privilegiata.
Dottor Ghelfi, come ha vissuto da giornalista RAI le elezioni presidenziali degli ultimi due decenni?
«Seguendo da vicino l’elezione del presidente della Repubblica, posso dire non ce ne è stata una uguale all’altra. La prima della quale mi sono occupato, quella di Scalfaro, certamente rimane la più drammatica, perché segnata dall’arrivo della notizia della strage di Capaci mentre il parlamento era paralizzato e avevamo registrato già quindici fumate nere. Ero in attesa con tanti colleghi davanti alla sala in fondo al Transatlantico in cui Forlani e Craxi si stavano incontrando, quando il portavoce di Andreotti arrivò trafelato da Palazzo Chigi con la notizia: ricordo la paura e il senso di smarrimento che prese tutti noi, non solo i politici. Due giorni dopo Scalfaro venne eletto, e il suo primo gesto fu andare a Palermo a rendere omaggio a Falcone e alle altre vittime».
Circa l’imminente elezione, già da un po’ di mesi si fanno ipotesi di nomi, di accordi, di profili, emergono candidature…
«Ogni volta ci sono stati colpi di scena a ripetizione. Le previsioni della vigilia sono sempre state sovvertite. Sempre, tranne forse nel caso di Ciampi, eletto nel 1999 al primo scrutinio. Le chiacchiere della vigilia sono state quasi sempre state smentite dai fatti».
Cosa pensa delle “manovre della vigilia”?
«La regola, non scritta, ma inesorabile, è che per il Quirinale non ci si candida, ma si viene candidati. Chi ci ha provato non ci è mai riuscito. Fondamentale il ruolo dei king maker, di coloro che non corrono per sé stessi, ma devono tessere le intese, e costruire le maggioranze. Se i tessitori vengono a mancare, tutto si complica, e i tempi si allungano. È questo un aspetto su cui riflettere: la lentezza delle procedure per la scelta del Presidente della Repubblica rischia di apparire anacronistica in epoca di tempi sincopati. Sin qui, però, bisogna ammettere che il complesso meccanismo disegnato dai costituenti ci ha restituito scelte di alto livello».
Come vi apprestate a svolgere il vostro lavoro nei prossimi giorni? Come è cambiato negli anni, dal vostro punto di vista, questo rilevante atto istituzionale?
«Raccontare l’elezione di un presidente della Repubblica per noi giornalisti parlamentari è la sfida più impegnativa, perché è difficile avere il polso di un collegio composto da oltre mille grandi elettori e seguire un turbinio di incontri. Il segreto dell’urna aggiunge suspance al tutto. Ho visto cadere candidature eccellenti come quelle di Forlani (nel 1992), o di Prodi (nel 2013), mitragliate da falangi di franchi tiratori. Se hai fiuto lo sai, e te lo aspetti. Ma quando il fatto si materializza, la sorpresa rimane grande. È sempre stato difficile per i capi partito avere il controllo delle proprie truppe, e immagino che lo sarà ancora di più in una situazione di sfilacciamento dei gruppi politici, con decine di parlamentari approdati al gruppo misto».
Quanto peserà la pandemia su questa elezione?
«Sarà strano doversi confrontare con le regole anti-pandemia: per tradizione Montecitorio nei giorni dell’elezione per il Capo dello Stato assomiglia a un formicaio impazzito con mille grandi elettori, centinaia di giornalisti e tecnici, funzionari e commessi della Camera. Nelle ultime occasioni il cortile d’onore si è sempre trasformato in un unico grande studio televisivo. Dover rispettare precauzioni e distanziamento, con un numero di presenze contemporanee contingentato sarà una sfida per tutti, anche per noi, operatori dell’informazione».