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“Ma era la notte degl’imbrogli e de’ sotterfugi”

02 maggio 2023

“Ma era la notte degl’imbrogli e de’ sotterfugi”

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Renzo e Lucia, don Abbondio, fra Cristoforo, Tonio e Gervaso, il Griso, i bravi di don Rodrigo: personaggi principali, personaggi minori, comparse ma tutti partecipi della complessità del romanzo manzoniano, che offre spunti di riflessione ad ogni lettore.

Alle loro figure e alla notte descritta nel capitolo VIII, che dà l’avvio e lo sviluppo a una serie di storie ed episodi dei Promessi Sposi, è stato dedicato un apposito incontro nell’ambito dei Pomeriggi Manzoniani per il 150° anniversario della morte del grande scrittore, organizzati dal Dipartimento di Italianistica e comparatistica dell’Università Cattolica, e dal Dipartimento degli studi letterari filologici e linguistici dell’Università degli Studi di Milano.

“Ma era la notte degl’imbrogli e de’ sotterfugi” è stata oggetto di una lettura interdisciplinare affidata alla competenza e agli studi dei relatori intervenuti, i quali hanno convenuto, sulla base di quanto affermato nell’introduzione dal professor Pierantonio Frare, direttore del Dipartimento di Italianistica e comparatistica dell’Università Cattolica, che è uno dei capitoli più belli del romanzo manzoniano.

Il punto di vista dello storico del teatro è stato affidato alla professoressa Mariagabriella Cambiaghi dell’Università degli Studi di Milano. Partendo dalla considerazione che il Manzoni più rappresentato a teatro è quello del romanzo, non quello delle tragedie, ha ricostruito la dimensione scenica degli spettacoli nella prima metà dell’Ottocento, alla quale tale capitolo ben si adatta avendo una sua “vocazione teatrale” con un piano di regia, concertazione di scene e scene di massa. «La notte degli imbrogli è il punto di forza dello spettacolo: Renzo e Lucia davanti a don Abbondio appaiono come se si aprisse un sipario. Il sistema organizzativo dal teatro del primo Ottocento (un teatro d’attore più che d’autore) è caratterizzato da compagnie nomadi, con pochi personaggi e pochi soldi, pertanto nelle rappresentazioni vengono meno vari personaggi e comparse del romanzo, gli scenari sono ridotti così come sono molto semplici i fondali per i cambi di scena».

«Per questo - ha proseguito - il pubblico applaudiva ma la critica non apprezzava a causa dei contesti rappresentati che subivano riduzioni sul piano sentimentale e romanzesco, con una trasfigurazione del romanzo adattato ai canoni di un teatro di divertimento».

Il punto di vista del filosofo ha visto le considerazioni espresse dal professor Silvano Petrosino dell’Università Cattolica, il quale ha rilevato che la profondità dei contenuti del romanzo è data attraverso quelli che possono essere considerati aspetti banali. «Un grande scrittore non ha bisogno di una grande storia, perché è lui che rende grande la storia. Non c’è bisogno di Tolkien che fa combattere il bene e il male». In particolare, ha individuato l’aspetto della rabbia, invitando il lettore a leggere tra le righe: «Non si salva nessuno, ogni personaggio diventa nello stesso tempo oppresso ed oppressore, come Renzo che da oppresso di don Rodrigo in questo capitolo diventa oppressore di don Abbondio, tanto che è invitato da fra Cristoforo mettersi al riparo da se stesso e dalla sua rabbia. La rabbia non deve essere giustificazione per compiere il male. Vale anche per noi oggi».

Sulla diffusione del male è tornato il professor Pierantonio Frare dell’Università Cattolica, esponendo il punto di vista del critico letterario, il quale – in una minuziosa analisi del testo circa un atto legalmente lecito ma moralmente discutibile - si è soffermato sulla luce della luna che «in quella notte dei fallimenti delle relazioni umane, ha rappresentato la luce di Dio che illumina le tenebre umane» e sul senso della prova che prelude ad una maggior gioia.

A chiudere il seminario c’è stato il punto di vista dello storico della lingua affidato al professor Giuseppe Polimeni dell’Università degli Studi di Milano. Partendo dall’interrogarsi di don Abbondio circa Carneade e illustrando i richiami alla letteratura classica, ha offerto una lettura storico-linguistico-letteraria sulla base delle varie versioni, non ultima anche la punteggiatura, che portarono Manzoni alla stesura definitiva del romanzo «quale chiave di lettura per coglierne l’evoluzione».

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

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