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Matilde Olgiati, un secolo di vita come la “sua” Università

16 dicembre 2021

Matilde Olgiati, un secolo di vita come la “sua” Università

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«Da bambina, mi si presentò dicendo “gnao!”. Per me rimase sempre zio Gnao». Con queste parole Matilde Olgiati, centenaria come l’Ateneo in cui si è laureata, ricorda uno zio speciale, tra i fondatori dell’Università Cattolica, nel nuovo numero dell’house organ “Presenza” dedicato a un anno di celebrazioni con lo sguardo rivolto al futuro. 


Nella vita ci sono fortunate coincidenze che aggiungono valore a storie già preziose. È il caso di Matilde Olgiati, nipote di monsignor Francesco Olgiati, fondatore del nostro Ateneo, che quest’anno compie cent’anni. Un secolo di vita che condivide con l’Università Cattolica, dove si è laureata in Lettere classiche nel 1943. Matilde, che a lungo ha fatto l’insegnante, è nata a Busto Arsizio, come suo zio; fu proprio lui a insistere in famiglia perché frequentasse l’università, in particolare lettere classiche.

La sua figura compare piccola e forte nel collegamento video che prontamente figli e nipoti (anche loro laureati nel nostro Ateneo) hanno organizzato per l’intervista. I ricordi sono nitidi e accendono ancora l’entusiasmo negli occhi di chi “ha visto tanto”, come quando le chiedo com’è stato frequentare la nostra Università: «Difficile riassumere tutto in poche parole, posso dirle che sono stati anni che mi hanno cambiato la vita. Se non avessi frequentato l’università non sarei stata un’insegnante, non avrei incontrato mio marito, sarei stata qualcun altro. E invece sono felice di aver studiato, di aver avuto uno zio che ha insistito perché lo facessi e di aver frequentato l’Università Cattolica in particolare. Vi si respirava un’aria di pace, di armonia, di ordine, che in quegli anni di guerra non era affatto scontata».

Gli anni della guerra

Già perché purtroppo le bombe della Seconda guerra mondiale non risparmiarono Milano e tanto meno l’area in cui sorge l’università. Cosa ricorda dei bombardamenti del ‘43? «Io ero a Busto quando accadde ma il giorno dopo, con i miei genitori, andammo a Milano. Un viaggio faticosissimo, travagliato; ricordo la città ferita, scioccata. Non passai dall’Università in quell’occasione ma ricordo che, proprio per il pericolo delle bombe, gli ultimi esami li avevo sostenuti insieme ai colleghi a Castelnuovo Fogliani. Il rettore Gemelli – il “magnifico terrore”, come lo chiamavamo – aveva fatto concentrare gli esami in poche settimane e quindi ci fermammo lì con i docenti».

La sua aria pacata e i suoi modi gentili e asciutti si inteneriscono mentre ripensa a quella “fuga” fuori porta, nel piccolo eden della principesca villa donata dalla duchessa Clelia Sforza d’Aragona alla Santa Sede e poi da papa Pio XI all’Università Cattolica per farne sede universitaria per le religiose. Castelnuovo in quei giorni difficili fu utilizzata come rifugio per gli studenti prossimi alla laurea, come ci racconta: «La sera si chiacchierava in giardino. Furono giorni belli pur nell’atmosfera cupa della guerra». E aggiunge con un sorriso birichino: «Ricordo che feci arrabbiare Lazzati perché in una discussione feci intendere che consideravo minori e trascurabili alcuni autori della letteratura cristiana antica. D’improvviso si impossessò della scena come in un palcoscenico spiegando nel dettaglio perché ero in errore! Continuai a non essere d’accordo ma era un piacere ascoltarlo. Erano tutti professori appassionati. Sono stava davvero fortunata».

Ogni professore è impresso nella memoria, ritratto con pennellate di stima e ammirazione. «Aristide Calderini, per esempio, era geniale; credo ci avrebbe portati tutti in Grecia se avesse potuto. Feci la tesi con lui, si intitolava Il Senato Romano in Tacito; bastava mettergli un testo antico davanti e gli brillavano gli occhi, poteva parlarne per ore. Ricordo poi Mario Apollonio, che mi firmava l’autorizzazione per accedere ai libri dell’Index librorum prohibitorum in biblioteca. Le sue lezioni erano seguitissime, con una platea di signore eleganti che venivano in università non da studentesse ma da uditrici; per questo c’era sempre un’aria chic ed elegante nei suoi corsi».

Olgiati, uno zio affettuoso e discreto

Nella carrellata di ricordi uno spazio speciale occupa però lo zio, monsignor Olgiati, autore di numerosi volumi noti in tutto il mondo (a lui e a Tolkien C.S. Lewis dedicò un libro nel 1947), cuore della redazione della rivista Vita e Pensiero, fondatore dell’editrice e dell’Università, compagno fedele di padre Gemelli fin dalle origini del progetto culturale. Il ricordo che condivide con noi è però intimo e inedito, perché non riguarda il suo profilo pubblico.

Ed è il primo che conserva dello zio: «Da bambina, mi si presentò dicendo “gnao!” Per me da allora fu sempre zio Gnao. Amava i gatti anche se non ne ha mai tenuti in casa, se non in varie riproduzioni artistiche, ritratti, statuette, gliene regalavamo molti». In effetti Gnao era lo pseudonimo con il quale firmava gli scritti per i più piccoli, così come don Micio. «Era uno zio affettuoso», continua, «e molto discreto. Aveva una figura signorile, lo sguardo limpido e penetrante, un’intelligenza acutissima e costruttiva».

Continua a leggere su Presenza 5-6/2021, pagine 10-11

Un articolo di

Velania La Mendola

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