Il giocatore che ogni allenatore vorrebbe in squadra, il professionista che ogni dirigente vorrebbe nel proprio organico. Matteo Darmian, eclettico difensore dell'Inter e della Nazionale, classe 1989, è uno di quei calciatori che alle parole preferiscono i fatti. Mai un comportamento sopra le righe, mai una polemica. Caratteristiche che lo hanno fatto apprezzare da tifosi, compagni di squadra, avversari, tecnici e addetti ai lavori.
Per lui parlano i numeri di una carriera di altissimo livello: 260 presenze e 11 gol in Serie A, l'importante esperienza con il Manchester United e 42 gettoni in maglia azzurra. Senza dimenticare le vittorie tra cui spiccano la FA Cup e l'Europa League conquistate con i Red Devils e i recenti trionfi in maglia nerazzurra dove è stato protagonista di 1 scudetto, 2 Coppe Italia e 3 Supercoppe italiane. Per questo motivo la sua partecipazione alla lezione di giovedì 4 aprile del Master in Media Relation e comunicazione d’impresa è stata particolarmente preziosa.
A introdurlo Luigi Crippa, responsabile della comunicazione dell'area sportiva dell'Inter e docente del master, «Darmian ha la possibilità di poter raccontare, avendoli vissuti, le trasformazioni recenti del mondo del calcio, comprese quelle, rapidissime, relativo al mondo della comunicazione. Ed è un esempio di come con serietà, dedizione e professionalità si può giocare ad alto livello anche passati i trent'anni».
«Quando nel 2015 mi sono trasferito al Manchester United - racconta Darmian - mi sono reso conto in prima persona dell’evoluzione del mondo della comunicazione e di come, in quel periodo, il calcio inglese fosse decisamente più avanti rispetto a quello italiano. Ho aperto i miei profili social in quell'occasione su indicazione della società, probabilmente molto in ritardo rispetto ad altri calciatori, perché per indole e carattere sono una persona molto timida. Anche l'area marketing era decisamente più sviluppata: una volta al mese noi calciatori venivamo trattenuti per un paio d'ore per le esigenze commerciali del club. Una cosa impensabile, al tempo, in Italia».
E proprio i social sono diventati ormai uno strumento centrale per quel che riguarda la comunicazione, nel bene e nel male: «Sicuramente è una possibilità per farsi conoscere a 360 gradi anche oltre all’aspetto “lavorativo” e mostrare che oltre al calciatore c'è una persona, un mondo extra-calcistico. Tuttavia, io cerco di non confondere mai il piano privato da quello professionale e quando sono con la mia famiglia e i miei figli cerco sempre di stare in pace. In ogni caso il commento negativo, che ci sta, deve essere sempre costruttivo e non oltrepassare mai determinati limiti, cosa che purtroppo succede spesso. Prima di essere calciatori siamo persone. Di certo - ammette Darmian - questa nuovo modo di comunicare ha quasi cancellato quelli delle epoche precedenti».
Una rivoluzione su cui Roberto Monzani, direttore della Media House della società nerazzurra e alumnus dell'Università Cattolica, presente alla lezione, si è soffermato con un breve intervento: «Quando alla guida della società, nel 2013, arrivò l'imprenditore indonesiano Erick Thohir fu molto sorpreso nel vedere la nostra poca propensione ai social media. Nel giro di pochi anni abbiamo raggiunto un livello alto grazie a un importante lavoro di sviluppo. In tal senso, a conferma di quello che ha raccontato Darmian, abbiamo preso molto dal modello inglese».
Il difensore dell'Inter non si è poi sottratto alle domande degli studenti. La prima riguarda la differenza, dal punto di vista della copertura mediatica tra Serie A e Premier League: «Da noi ci sono molti più quotidiani specializzati sullo sport e il calcio in particolare mentre in Inghilterra lo sport riguarda essenzialmente l'inserto dedicato dei grandi giornali e di conseguenza devono coprire molte meno pagine con tutto quel che ne consegue. In tv c’è una copertura meno massiva delle partite, questo anche per invogliare la gente ad andare allo stadio ed è comunque circoscritta al pre e al post-partita».
E a chi chiedeva come un professionista si prepara al "fuoco di domande" dei media prima e dopo una partita e che differenza c'è, in tal senso, tra Italia e Inghilterra Darmian ha spiegato come «allo United i rapporti con i media sono stati importanti anche per prendere confidenza con la lingua inglese. In generale, se andiamo davanti ai microfoni in un momento un po' delicato come ad esempio una brutta sconfitta, siamo informati dai nostri dirigenti circa le posizioni della società. In ogni caso penso che sia giusto e normale metterci la faccia se le cose non sono andate bene o se si è sbagliato in campo».
Un altro aspetto affrontato è quello relativo alla gestione della pressione: «Non saprei dare un consiglio specifico, io per carattere sono una persona molto calma, cerco di essere sempre positivo e di portare questo atteggiamento anche in campo».
Inevitabile poi qualche curiosità sui tanti campioni affrontati in carriera: «Sempre difficile fare classifiche di questo tipo ma direi Hazard ai tempi del Chelsea e Aguero quando era al City».
La chiusura è sulle emozioni: «Sicuramente l'esordio in Serie A. E anche quello in nazionale. Poi ci sono le vittorie che sono sempre speciali». E la sensazione, classifica di Serie A alla mano, è che quest'ultimo elenco verrà presto aggiornato con un nuovo capitolo...