L’ascensore si chiude e sale fino al quarantesimo piano del grattacielo. Improvvisamente le porte si aprono, si arriva su una trave di legno, a sbalzo, sospesa nel vuoto. «Più dell’80 per cento delle persone non scendono da quell’ascensore, e iniziano a sudare», racconta Nicola Ravarini, Founder & Ceo di VRZONE. «Lo fanno, pur sapendo che un secondo prima di indossare il visore avevano i piedi per terra nel nostro ufficio, e lì sono rimasti. Mentre i nostri ospiti camminano a piccoli passi sull’asse di legno, gli raccontiamo una breve storia citando colori, nomi e numeri. Al loro ritorno dentro l’ascensore, al sicuro, gli chiediamo di dirci di che colore fossero taluni oggetti, o quanti erano». A VRZONE utilizzano questo strumento per valutare la capacità di concentrazione, di mantenere la calma e di memorizzare. Ma gli obiettivi posso essere diversi, nei contesti più differenti.
«Le opportunità di formazione che offre la realtà virtuale sono ben note», spiega Andrea Gaggioli, docente di Psicologia Generale, durante il secondo appuntamento de “I Martedì del Metaverso” moderato dalla giornalista Alessia Cruciani. Dopo il primo evento sui nuovi scenari del lavoro nel Metaverso, il ciclo di incontri promosso dallo Humane Technology Lab diretto da Giuseppe Riva, in collaborazione con Login, l’inserto del Corriere della Sera, propone di spostare il focus sulla formazione. «Bisogna considerare prima di tutto il senso di presenza, che dà la possibilità di abilitare il learning by doing simulando una situazione realistica che permetta di apprendere in un contesto sicuro», continua Gaggioli. «Pensate al mondo della medicina: poter acquisire competenze in un contesto che consenta di commettere errori può essere determinante. Ma il vantaggio è evidente anche nelle materie STEM (le discipline scientifico-tecnologiche, scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, ndr): la realtà virtuale permette di trasformare la conoscenza di tipo simbolico in una conoscenza sensoriale e motoria. Si può toccare una molecola, o visualizzare un capo gravitazionale, facendo un salto nell’apprendimento».
I casi di utilizzo concreto del Metaverso anche da parte delle aziende sono numerosi, pur essendo ancora evidenti molti limiti, a partire dall’onerosità dei costi di programmazione e produzione della realtà virtuale. «Lavoriamo con le risorse umane delle imprese, che nell’ambito della selezione o del ricollocamento del personale vengono da noi per l’ultimo miglio», racconta Ravarini. «Far indossare i visori ai candidati li rende più diretti, l’immersività è così forte che la risposta è genuina e istintiva». «Il Metaverso non è solo un caschetto», commenta Gaggioli. «È una rete di esperienze connesse, a virtualità variabile. Si può avere più o meno immersione a seconda della tecnologia che si utilizza. Si può aumentare l’esperienza immersiva oppure far coincidere lo spazio virtuale con quello reale, in una esperienza di realtà mista nella quale si coniugano due vantaggi: si usa la fantasia, ma ci si appoggia alla fisicità dello spazio».
In questo contesto, considerando i bisogni delle imprese, «nel Metaverso l’università ha due ruoli. Perché concorre a formare le competenze di coloro che lo devono costruire, ma può anche utilizzare il Metaverso per migliorare la formazione universitaria, aumentandone l’efficacia formativa», spiega Gaggioli. «Senza contare che la realtà virtuale è emotiva per eccellenza, ci permette di emozionarci. Il nostro gruppo di ricerca ha studiato l’impatto della meraviglia nell’apprendimento: la realtà virtuale stimola la meraviglia, e quindi l’apprendimento. Ma anche la creatività». In fondo, come sosteneva Aristotele, ogni conoscenza autentica comincia dalla meraviglia.