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Migranti e buone pratiche, l’inclusione possibile

13 ottobre 2021

Migranti e buone pratiche, l’inclusione possibile

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Parlare del fenomeno migratorio al di fuori della retorica emergenziale. Lo si è fatto all’Università Cattolica del Sacro Cuore nel convegno “L’inclusione possibile”, organizzato dall’ateneo piacentino insieme alla Fondazione Robert Kennedy, durante il quale è stata presentata la pubblicazione curata da Euricse (European Center on Cooperative and Social Enterprises) dal titolo “Accoglienza ed inclusione di richiedenti asilo, rifugiati e migranti in Italia. Sfide e dinamiche evolutive”.

Il tema dell’immigrazione è stato presentato alla luce di un Paese, il nostro, che si presenta tra i più vecchi sotto il profilo demografico. Anche per questo parlare di migrazione significa parlare di noi stessi e del nostro futuro. Così è stato più volte accennato durante l’incontro tenutosi all’ateneo piacentino, introdotto dai docenti dell’Università Cattolica Paolo Rizzi e Davide Galli, da Valentina Pagliai della Robert Kennedy Foundation e da Stefano Arduini, direttore di Vita, mensile il cui ultimo numero è dedicato alle buone pratiche dell’accoglienza di cui l’Italia è ricca, ma che spesso finiscono fuori dai radar.

Ad ascoltare i vari interventi erano prsenti gli studenti del corso di studi di management della sostenibilità. «D’altronde questo tema non può che riguardare i nostri studenti - ha chiarito Davide Galli - dal momento che l’immigrazione va saputa gestire e l’integrazione è qualcosa che avviene soprattutto nell’impresa».

La premessa di ogni discorso arriva però per voce di Marco Zupi, direttore scientifico del Cespi (Centro studi di politica internazionale), che ha portato i numeri aggiornati del fenomeno migratorio.

«Se ai migranti internazionali aggiungiamo quelli interni - dice - la cifra globale arriva a oltre un miliardo di persone». Oggi, spiega Zupi, nel mondo una persona su 28 è un migrante internazionale, mentre è migrante una persona su 7,5 se si considerano anche i flussi migratori interni. I profughi sono invece 83 milioni, di cui 34,4 fuori dai confini della propria nazione. Per lo più sono flussi di prossimità. «I migranti preferiscono spostarsi nei Paesi più vicini - continua - con i quali hanno maggiori affinità di lingua e culturale, piuttosto che nelle aree più ricche, che solitamente sono anche più distanti geograficamente». Oltre il 40% dei migranti sono di origine asiatica e benché il fenomeno sia planetario, i loro luoghi di destinazione si concentrano in poche nazioni: Usa, Germania, Arabia Saudita e Russia accumulano un terzo dei migranti internazionali.

È questo lo punto per l’intervento di Giulia Galera, curatrice della pubblicazione di Euricse insieme a Ilana Gotz e Sara Franch, che si è addentrata nei contenuti della ricerca «che riassume i risultati del percorso di riflessione iniziato nel convegno in Cattolica nell’autunno del 2019, dal quale emerge che l’Italia è una costellazione di buone pratiche, di cui il lavoro è solo una delle variabili da considerare. C’è poi tutta la dimensione sociale dei singoli individui a cui occorre guardare». «Si tratta di esperienze di inclusione che riflettono specificità territoriali non trasferibili - continua - ma che mostrano come il sistema dell’accoglienza si possa riconnettere con i territori ospitanti, ponendo attenzione sia al miglioramento delle condizioni di vita dei migranti sia ai bisogni della popolazione locale».

La tavola rotonda che è seguita ha indagato il fenomeno da differenti prospettive, a cominciare dall’intervento di Laura Zanfrini, della Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) e docente dell’Università Cattolica, la quale ha posto il giovane uditorio di fronte alla sfida che lo attende. «Governare i percorsi di inclusione - afferma - ci obbliga a ripensare i nostri modelli di sviluppo. Durante la pandemia si è compreso che vi sono ruoli essenziali ricoperti dai migranti: dalla logistica alla sanità, alla filiera agroalimentare. Da un lato la regolazione dei flussi dovrebbe corrispondere ai bisogni del mercato del lavoro, si pensi ad esempio ai braccianti dei campi per raccogliere i pomodori, ma negli ultimi anni si è innanzitutto puntato a contrastare la migrazione irregolare. Tenere insieme i due aspetti non è semplice».

Aspetti che devono essere convogliati verso un unico obiettivo: il percorso verso l’autonomia. Di questo ha parlato Cristina De Luca dell’Iprs (Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali) che ha indagato in particolare la seconda fase della gestione del fenomeno migratorio, quella successiva alla prima accoglienza. «Il percorso di inclusione non termina nel momento in cui si trova il lavoro - dice - ma deve considerare anche ciò che accade dopo». I problemi sono complessi, afferma, benché ci siano anche notizie positive. «Le buone pratiche dell’accoglienza esistono e devono fare sistema, essere acquisite dal territorio e dalle linee guida della programmazione europea».

Ma l’inclusione passa anche attraverso i servizi e la formazione. «L’educazione finanziaria è tutt’altro che un aspetto accessorio» interviene Daniele Frigeri del Cespi (Centro studi di politica internazionale). «Perché i migranti rinunciano ad aprire conti correnti?» domanda Frigeri, poi si dà la risposta: «Per tre ragioni: la difficoltà di accedervi in quanto occorrono strumenti adeguati per chi ha basso reddito, la percezione di non averne bisogno perché manca una corretta formazione finanziaria e infine per motivazioni culturali, ad esempio la paura di indebitarsi o la poca fiducia nella banca». E se Matteo Boaglio (Intesa San Paolo) spiega che «il triste primato dei neet che appartiene all’Italia si contrasta anche con l’accoglienza dei migranti, da considerare dunque per ragioni econometriche e non solo sociali», da Gianluca Salvatori (Fondazione Italia sociale) arriva un monito: «Le posizioni ascoltate in questa sede non sono maggioritarie nel Paese». Anche per questo, sostiene Paolo Rizzi in conclusione della tavolo rotonda, per includere e «gestire il fenomeno migratorio occorre rifarsi al concetto di comunità».

Un articolo di

Redazione

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