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Mozambico, la strage silenziosa delle missionarie

08 settembre 2022

Mozambico, la strage silenziosa delle missionarie

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“L’Istituto dei Missionari Comboniani è esclusivamente missionario e si dedica all’Evangelizzazione dei popoli. Le caratteristiche di questo servizio missionario si racchiudono nelle seguenti quattro dimensioni: essi sono missionari “ad gentes”: perché si dirigono a quei popoli, ambienti e situazioni non ancora o non sufficientemente evangelizzati. Sono missionari “ad pauperes”: perché danno preferenza ai più poveri e abbandonati nella fede e nella dimensione sociale. Sono missionari “ad extra”: perché sono uomini e donne di Dio in esodo, che oltrepassano frontiere personali, familiari, geografiche, culturali, sociali e religiose. Sono missionari “ad vitam”: perché si consacrano a Dio per la missione, per tutta la loro vita.” Questa è stata fino a ieri sera (6 settembre 2022) la missione di Suor Maria De Coppi, missionaria comboniana dagli anni Sessanta attiva in Mozambico uccisa durante un agguato nella sua missione di Chipene, nella provincia di Nampula, nella parte settentrionale del Paese.

Il Mozambico è il risultato di flussi migratori continui nella sua storia multiculturale e multietnica e due terzi della popolazione, 31 milioni e seicentomila nel 2022, vive in aree rurali. In seguito alla difficile e sanguinosa indipendenza dal Portogallo il 25 giugno 1975 il Paese si è trovato al centro delle “guerre per procura” che hanno caratterizzato l’Africa negli anni Settanta-Ottanta del ventesimo secolo. Le ferite profonde lasciate dal colonialismo hanno ostacolato percorsi di sviluppo anche a causa delle divisioni che lacerano ancora oggi la società mozambicana. Tali divisioni politico-sociali si sono sovrapposte ad altre divergenze religiose preesistenti. Spaccature ideologiche e religiose entro la comunità musulmana da sempre presente nel Paese hanno condotto a fenomeni di estremizzazione favoriti da lunghi anni di marginalizzazione economica e politica. A partire dal 2017 dalla provincia di Cabo Delgado, dove si trovano giacimenti di gas liquido naturale, il terrorismo si è diffuso anche in altre aree.

Ahlu Sunnah Wa-Jama (Isis Mozambico) è un gruppo militante islamista presente a Cabo Delgado; d’ispirazione salafita-jihadista, separato dagli Al Shabaab di provenienza somala, è fervente sostenitore dell’applicazione rigorosa della sharia, ed è responsabile di numerosi attacchi. I militanti del Ahlu Sunnah Wa-Jama tendono imboscate lungo le strade che connettono le varie cittadine del nord. Questo gruppo si ritiene sia nato dalle predicazioni del leader estremista A.M. Rogo, di origine kenyota. Rogo si è fatto promotore dalla fine degli anni Novanta sino al 2012, quando è stato ucciso in un confitto a fuoco a Mombasa, di un messaggio islamico-radicale, imperniato sulla condanna senza appello della ricchezza delle élites e delle multinazionali, considerata come il frutto insanguinato del vergognoso sfruttamento delle popolazioni locali. Rogo ha anche basato la sua propaganda, in lingua swahili, fondata sui precetti dell’Islam più radicale. L’intensità degli attacchi, accomunati da un alto livello di brutalità, mostra la volontà degli estremisti di ritagliarsi una parte di Paese per dare vita a un “califfato” da cui colpire il Paese e la regione. Durante gli ultimi tre anni il fenomeno non è stato risolto dal governo mozambicano, e si ritiene che nessuna soluzione sia possibile se non in una sinergia con i paesi confinanti.

La situazione umanitaria è grave nel nord dove si registrano dal 2017 a oggi oltre 4.000 morti e 900,000 sfollati a seguito dell’incertezza e delle problematiche derivanti dagli attacchi. Il governo, guidato dal 2015 da Felipe Jacinto Nyusi, ha resistito a lungo ad ogni tipo di supporto esterno, ad interventi multilaterali, a soluzioni regionali, in accordo con i paesi contigui. A questo riguardo vi sono altre drammatiche realtà africane come il Sahel, l’Africa occidentale, il Nord Africa e l’Africa orientale dove il terrorismo minaccia quotidianamente le popolazioni indifese. E uno dei maggiori problemi incontrati in Mali e in Nigeria include l’assenza di strategie nazionali e regionali, le risorse limitate per affrontare il fenomeno, e un’attenzione esclusiva alle azioni militari trascurando soluzioni volte alla difesa dei diritti umani e per favorire lo sviluppo. Il Mozambico ha a lungo sottovalutato il fenomeno definendolo di ordinaria violenza e non di matrice terroristica internazionale davanti al quale uno stato non può ergersi da solo. Sono stati coinvolti anche gruppi mercenari russi e sudafricani per combattere questi gruppi invece di negoziare un supporto collettivo con i paesi confinanti. Il privilegiare le operazioni militari, tradizione, questa, profondamente radicata nella storia contemporanea del Paese - l’unico Paese al mondo a possedere un fucile d’assalto (AK-47) nella bandiera nazionale - a discapito delle azioni umanitarie ha indebolito ulteriormente le realtà locali: totalmente esposte agli attacchi. L’attenzione alla sicurezza ha escluso le iniziative da parte delle comunità anche religiose come le missioni comboniane; sono stati inoltre esclusi gli aiuti da parte di gruppi di sicurezza locali che si sono rivelati molto utili nel contrastare gli attacchi di Boko Haram in alcune regioni settentrionali della Nigeria. Dall’inizio del 2022 la SADC (Southern Africa Development Community), forze militari ruandesi, aiuti militari americani ed europei, con un totale di 3.100 truppe presenti sul territorio tentano di affrontare la crisi per evitare il pericolo della diffusione del terrorismo nell’intera regione.

Proprio le comunità religiose potranno aiutare a “decostruire le ideologie estremiste” con aperture diplomatiche e dialoghi oggi più che mai urgenti e necessari. Una strategia regionale per la difesa delle coste marittime è essenziale per la protezione dei commerci e per la sicurezza dei litorali non solo mozambicani ma dell’intera costa dell’Africa orientale a partire da Capo Guardafui in Somalia. Le organizzazioni internazionali devono avere accesso ai villaggi dove si trovano gli IDP (Internal Displaced Persons) e poter portare aiuti. I porti strategici come Mocìmboa da Praia, già in mano ai terroristi, devono venir ulteriormente difesi per impedire loro futuri rifornimenti. I confini settentrionali con il Malawi e la Tanzania andrebbero ancora più rafforzati e le terre agricole riorganizzate senza il veleno della corruzione. L’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza di Pretoria (Institute for Security Studies, Pretoria, South Africa) è dell’avviso che l’intera sicurezza dell’Africa australe - e la sicurezza globale - dipenda da tutte queste azioni sinergiche condivise. L’African Union (AU), l’Unione Europea e le Nazioni Unite dovranno affrontare, oggi più che mai davanti a un tale sacrificio, realmente unite l’ideale di Comboni di “salvare l’Africa con l’Africa”.

Un articolo di

Beatrice Nicolini

Beatrice Nicolini

Docente di Storia e Istituzioni dell’Africa | Facoltà di Scienze Politiche e Sociali

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