In Italia, su 7 milioni di over 75, ben 2,7 milioni hanno difficoltà motorie e la metà dichiara di non poter contare su un aiuto adeguato alle proprie necessità. Una situazione che rischia di peggiorare nei prossimi anni, quando il numero di persone che avranno bisogno di assistenza è destinato a raddoppiare. Di questo si è parlato nel primo incontro del ciclo "Economia e benessere: il valore economico del contrasto ai rischi sociali", promosso dalla Facoltà di Economia nel campus di Roma, aperto lo scorso 27 aprile con l’evento “Contro l’abbandono. I rimedi alla non autosufficienza e la tutela della persona” a cui sono intervenuti la Preside della Facoltà di Economia, Antonella Occhino, i professori della Facoltà di Economia, Alessandro Rosina, Ordinario di Demografia, Claudio Lucifora, Ordinario di Economia del lavoro, Stefano Villa, Ordinario di Economia aziendale e Cristiano Gori, Ordinario di Politica sociale all’Università di Trento e ideatore e direttore del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza. A portare la sua testimonianza anche Antonella Cammarota, Alumna della Facoltà di Economia nel campus di Roma.
«Il ciclo di incontri affronta tre temi fondamentali: l’abbandono, la povertà e l’usura – ha spiegato la preside Occhino – Sono questioni che riguardano tutti e toccano diversi aspetti della nostra società, non solo la sanità o il sociale, ma anche l’economia. Cercare soluzioni sulla non autosufficienza degli anziani significa sia contrastare la solitudine di tante persone che vivono nell’incertezza e nella paura, ma anche indicare nuove strade per il welfare del futuro».
«La situazione demografica ci dice che in Italia andiamo verso una società sempre più matura, oggi si entra nella condizione di ‘anziano’ dopo i 75 anni e questa soglia è in continuo mutamento – ha sottolineato il professor Rosina -. Bisogna capire come generare benessere, crescita e sviluppo e avere un sistema sostenibile, basato su condizioni diverse dal passato. Chi nasce oggi vivrà in media oltre i 100 anni, dunque il rapporto tra generazioni sarà completamente diverso da quello che abbiamo sempre conosciuto».
«Il ritardo strutturale nell'offerta dei servizi sanitari e la visione tipicamente 'ospedalocentrica' sono alcune delle principali cause nella difficoltà di dare assistenza ai non autosufficienti- ha dichiarato il professor Lucifora –. La qualità di salute della popolazione anziana è bassa, tra i 65 e gli 80 anni raddoppia la presenza di patologie croniche e quintuplicano le gravi limitazioni motorie. Molte di queste criticità dipendono da cattivi stili di vita. Come sopperire a tutto questo? Ad oggi l’unico modo è l’assistenza informale, cioè un esercito di familiari, badanti e assistenti neanche tanto qualificati che si trovano a dover gestire situazione difficili. Bisogna invece ripensare e potenziare il ruolo della residenzialità. Le Rsa devono essere messe al centro della ‘long term care’».
«Oggi i nostri anziani si trovano invischiati in un sistema frammentato, in cui manca il personale e c’è una bassa copertura di servizi pubblici- ha sottolineato il professor Villa-. In Italia non c’è la cultura degli anziani. Pensiamo ai bambini: esiste un pronto soccorso pediatrico, ma non esiste un pronto soccorso geriatrico; esistono i pediatri di libera scelta, ma non esistono i geriatri di libera scelta. Per far fronte al tema della non autosufficienza è invece necessario fare rete per evitare ricoveri impropri e rispondere ai bisogni in continua evoluzione delle fasce di popolazione over 65».
Il Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, coordinato dal professor Gori, intende elaborare proposte operative per la riforma sull’assistenza agli anziani non autosufficienti. «Il Patto raggruppa 58 organizzazioni della società civile nel nostro Paese: rappresenta gli anziani, i loro familiari, i pensionati, gli ordini professionali e i soggetti che offrono servizi. Si tratta della comunità italiana della non autosufficienza, che ha deciso di superare confini, appartenenze e specificità per unirsi nella elaborazione di questa riforma, non prevista nella versione del Pnrr del gennaio 2021, ma inserita in quella definitiva presentata a fine aprile, in seguito all’intensa attività di pressione delle realtà del Patto. L’obiettivo è quello di costruire un settore unitario e avere nuovi modelli d’intervento, superando il paradigma clinico-ospedaliero ‘bisogno-prestazione-cura’».