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Per l’intelligenza artificiale servono umanisti

04 giugno 2024

Per l’intelligenza artificiale servono umanisti

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È una vera e propria rivoluzione che si sta dipanando sotto i nostri occhi. Ma che cosa sta cambiando e come influisce sul giornalismo?

È la domanda da cui è partita The Newsroom, la lezione aperta del Dams dedicata al tema “Il giornalismo alla sfida dell’AI”, andata in scena lo scorso 23 maggio, con la conduzione di Pierluigi Ferrari, inviato Rai Tgr Lombardia e docente di Media e informazione, e dopo i saluti Massimo Locatelli, coordinatore Dams.

Lorenzo Maternini, vice-presidente di Talent Garden e membro della Commissione intelligenza artificiale per l’informazione istituita dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, prende subito tutti in contropiede quando fa notare che «l’intelligenza artificiale sta cambiando molto le competenze richieste dal mercato, non solo con la ricerca di persone tecnologicamente esperte, ma, al contrario, con la richiesta di competenze in scienze umane, persone capaci di addestrare le macchine a rispondere alle esigenze umane.

Ecco che allora tutte quelle meta-competenze che riguardano l’area delle scienze umanistiche saranno centrali e si ribalterà il paradigma, con una diminuzione della corsa allo Stem e il bisogno di persone pensanti».

Una buona notizia anche per il mondo del giornalismo per il quale, come fa notare Luigi Rancilio, caporedattore e digital manager di Avvenire, non esiste un dualismo macchina/giornalisti.


«Se non abbiamo l’umiltà di vedere la diversità tra i giornalisti e la macchina, il problema è dei giornalisti». La questione è tornare a fare qualcosa di assoluta qualità, perché l’informazione rischia di cadere nelle mani dei creator che, con l’aiuto dell’AI, usata come un «oracolo», prendono una mole di contenuti e tirano fuori le informazioni che fanno vendere di più.

Il rischio, come rileva Maternini, è di affidarsi a macchine come Chat Gpt, che si allenano leggendo milioni di testi, e non essere più capaci di fare a meno di loro.

Ma queste «non sono la risposta giusta perché non hanno un pensiero critico e una morale». Su questi risvolti si è mossa l’Unione europea («acqua tiepida il suo approccio») e anche l’Italia sta ragionando di soluzioni che hanno a che fare con logiche mondiali. «Riflessioni tanto affascinanti, quanto deboli», come emerge nella proposta di decreto-legge sia per il tema del diritto d’autore che della protezione dei minori dai contenuti nocivi.

Per Maternini o si segue la strada della Cina, che ha statalizzato tutto, controllando tutti gli algoritmi, o si prova a dare regole al sistema, lavorando sui codici tecnologici e sulla responsabilità di chi li crea, «tornando a educare la persona all’importanza etica del proprio lavoro». È quello che Paolo Benanti, il religioso messo a capo della Commissione intelligenza artificiale per l’informazione, ha definito “Algoretica”.

Per Rancilio significa soprattutto evitare le scorciatoie che cercano di sostituire i giornalisti con l’intelligenza artificiale, di cui potrebbe approfittare qualche editore.

«Avremo sempre più bisogno di giornalismo» conclude, capace di valorizzare, oltre che le carte deontologiche, anche il valore dell’onestà professionale.

Un articolo di

Paolo Ferrari

Paolo Ferrari

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