I venti anni dal barbaro omicidio del professor Marco Biagi sono, nel complesso, passati sotto silenzio, quasi che si sia trattato di un fatto minore e non del formidabile riemergere di forze antidemocratiche, che con violenza si scagliavano contro gli esperti (i “tecnici”), su cui aveva finito per riversarsi il peso della progettazione della modernizzazione del Paese e dei suoi apparati.
Eppure, a voler rileggere il “Libro bianco” dell’ottobre 2001, che catalizzò l’attenzione di studiosi, politici, sindacalisti e uomini delle istituzioni, innescando un dibattito che dura tutt’oggi, ci si rende facilmente conto come i temi che quel documento metteva all’attenzione di tutti sono ancora più che mai attuali, dato che l’elevato tasso di disoccupazione resta una caratteristica del mercato del lavoro italiano e che, dopo venti anni di tentativi, le politiche attive del lavoro ancora attendono uno sviluppo più completo e la messa a disposizione di fondi sufficienti, come ci ricorda il piano di “messa a terra” del PNRR, messo a punto in questi ultimi mesi.
Si deve registrare che quasi più nessuno dubita della correttezza dell’impostazione fatta proprio da quel documento, che mirava a considerare unitariamente la crescita dell’occupazione come obiettivo meritevole di tutela e di sostegno normativo, quale che fosse poi in concreto la forma giuridica in cui questo si realizzava (se il lavoro subordinato, o autonomo o forme flessibili do collaborazione).
E si deve anche al magistero del professor Biagi se anche l’Unione europea si è aperta a prendere in considerazione problemi e tematiche che, al tempo, sembravano proprie solo di un mercato del lavoro non pienamente sviluppato, come quello italiano.
E neanche ci si deve dimenticare che quell’approccio trovò legittimazione e fondamento nel pensiero degli studiosi dell’Università Cattolica, sia attraverso la partecipazione diretta del professor Carlo Dell’Aringa all’elaborazione del “Libro bianco”, sia grazie al pensiero della scuola giuslavorista formatasi nella facoltà di Giurisprudenza , che ha visto in Tiziano Treu e in Mario Napoli due fra gli studiosi più attenti a sviluppare le basi teoriche, su cui si è poi costruita la proposta che ha inaugurato una fase nuova del diritto del lavoro in Italia.