A Teheran, e non solo, proseguono le rivolte dei giovani contro il regime dopo la morte di Mahsa Amini. Ghazal Poorhasan, alumna del master Aseri in Middle Eastern Studies (MIMES), in questo testo, ci spiega i motivi per i quali stavolta l'esito delle proteste potrebbe avere un altro finale rispetto al passato.
Ne parleremo mercoledì 19 ottobre in Cattolica in occasione dell’incontro “Libertà di, libertà da: la contraddittoria relazione tra Stato e società in Iran” promosso dalla Community Alumni e dal Comitato per le Pari Opportunità dell’Ateneo. Insieme all’autrice di questa testimonianza interverranno Raffaella Iafrate, Delegata del Rettore alle Pari Opportunità, Riccardo Redaelli, docente di Storia e istituzioni dell'Asia presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali e Arouna Roshanian, Program Manager della Commissione Europea e Alumna di Aseri. L’evento si terrà alle 18 presso la sede di largo Gemelli a Milano (Aula G.242). Per partecipare è necessario confermare la propria presenza online a questo link oppure inviando una e-mail a alumni@unicatt.it.
Nelle ultime settimane delle proteste senza precedenti, guidate da una generazione molto giovane, hanno scosso nel profondo l'Iran, un paese certo non estraneo a manifestazioni e rivolte. "Questa volta è molto diverso" è la frase che si sente spesso ripetere.
E queste parole vengono ripetute con un senso di eccitazione e di cautela, di speranza e di paura, con ancora il ricordo delle precedenti rivolte e con la consapevolezza di ciò che potrebbe accadere se quest'ultima ondata di proteste si infrangesse di nuovo. Tuttavia, questi timori non sembrano appartenere a questa nuova generazione di manifestanti, molto diversa dai loro genitori, nati nel periodo post-rivoluzione e negli anni della guerra Iran-Iraq (1980-1988), e che erano più inclini a compromessi con il sistema.
Che cosa rende queste proteste diverse da quelle precedenti?
La differenza principale è da ricercare nella generazione alla guida di questi disordini, che non ha intenzione di arrendersi o di chiedere facili compromessi, ma cerca piuttosto di ottenere cambiamenti radicali. Manifestanti più coraggiosi, che hanno già assistito a tutti i tipi di coercizione subiti da chi li ha preceduti. Mantengono la loro posizione nelle strade come se non avessero nulla da perdere. Questa generazione rifiuta categoricamente la mancanza di libertà e il controllo del sistema sulla loro vita quotidiana.
Inoltre, questa volta le donne sono al centro delle proteste. Mahsa Amini non è stata certo la prima donna vittima di violenza da parte delle autorità, ma la sua morte ha inflitto l'ultimo colpo alla pazienza delle donne private negli ultimi quarant'anni di molti dei loro diritti, ma che non hanno mai rinunciato a lottare, rifiutandosi di rispettare in toto il codice di abbigliamento loro imposto. Per la prima volta, con lo slogan "Donna, vita, libertà" che si diffonde in tutto l'Iran, la questione dei diritti delle donne diventa centrale nella volontà di cambiamento politico. Immagini e video di donne che bruciano i loro veli e si tagliano i capelli, con gli uomini accanto a loro, sono ora l'immagine iconica della richiesta di riprendere il controllo sul proprio corpo, chiarendo che non ci sarà mai una vera libertà senza avere donne libere.
Un altro elemento cruciale è il fatto che le attuali proteste non ruotano attorno a una figura politica o a un'intellighenzia unificante che ne assuma la guida, a differenza delle proteste studentesche del 1999 o del "movimento verde" del 2009. Questo rende le proteste generali più spontanee e imprevedibili, complicando anche la reazione del regime, dato che non si può paralizzare il dissenso, mettendone a tacere i suoi leader.
Inoltre, osservando come le rivolte attraversino tutte le regioni dell’Iran, appare chiara l’adesione dei tanti gruppi etnici del paese; un elemento di novità, dato che non risparmia le città tradizionalmente conservatrici e religiose come Qom e Mashhad.
Infine, vi è una partecipazione degli studenti universitari molto più ampia rispetto alle rivolte passate; i recenti attacchi delle forze di sicurezza all'Università Sharif di Tehran, considerata uno dei centri di eccellenza del paese, hanno scatenato una solidarietà senza precedenti del mondo universitario.
Tuttavia, la sfida principale al regime non viene dalle università, ma dalle scuole secondarie. I ragazzi e le ragazze minorenni che si radunano per le strade e bruciano veli a scuola rappresentano infatti una novità senza precedenti, che pone un complicato dilemma per il regime; qualsiasi azione eccessiva nei confronti di minorenni armati di smartphone e maestri nell'arte dei social media non solo provocherebbe un contraccolpo internazionale, ma sarebbe anche un motivo determinante per portare gli adulti, ancora esitanti, nelle piazze.
Se si considerano tutti questi nuovi fattori, e se si considera che nelle ultime tre settimane sono stati infranti così tanti tabù da parte di una generazione che sembra essere pronta ad affrontare pericoli e rischi personali, anche se le proteste dovessero essere represse come in passato, diventa evidente che nulla in Iran sarà più come prima.