Nel dibattito pubblico occorre, però, evitare l’errore, come chiede il professor Anelli, di «dimenticare che la scienza è ricerca, non rivelazione». Le università hanno la funzione culturale e politica di farne comprendere «l’essenza e i limiti». Da un lato, ridimensionando «l’aspettativa quasi fideistica nel progresso scientifico e tecnologico», che, per fortuna, sta arretrando. Dall’altro, aiutando a capire che il procedere per tentativi, ipotesi, verifiche e confutazioni, come si è visto durante la pandemia, fa parte del «farsi» della scienza e non deve minare le certezze, fino al paradosso che «un risultato straordinario, come l’elaborazione di vaccini nel volgere di pochi mesi, è stato da molti accolto con sospetto o ripulsa». Una dinamica già vista all’inizio del ‘900 a proposito della vaccinazione contro il vaiolo, che «getta un’ombra sulla reale capacità di apprendere dal passato».
Ecco perché è necessario investire sulla capacità delle istituzioni educative di «diffondere una cultura scientifica» e di far comprendere che cos’è la ricerca, rendendo consapevole la società contemporanea «dei processi di produzione del sapere e della valutazione critica dei risultati, specialmente quando questi costituiscono le premesse del decidere e dell’agire». Una scienza liberata «dalla pretesa di assoluto», «consapevole che vi è sempre altro da svelare, e che le nuove scoperte potrebbero mettere in discussione le convinzioni precedenti, è la scienza che merita fiducia».
Un impegno che l’Università Cattolica ha fatto proprio fin dalle origini. «Ne usciremo migliori solo con il coraggio di chi ricostruisce e getta le fondamenta» ha detto Paolo Gentiloni. «È quello che fece padre Gemelli in un’Europa piegata dalla guerra e dall’influenza “spagnola”, investendo sulla ricerca e sui giovani e, più tardi, dando vita alla facoltà di Medicina e chirurgia e al Policlinico Gemelli».