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Salvate il mio Libano, modello di convivialità

03 maggio 2022

Salvate il mio Libano, modello di convivialità

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Uno Stato uscito dai radar della geopolitica internazionale e dell’attenzione dell’opinione pubblica, anche a seguito del conflitto in Ucraina. Messo in ginocchio da una fortissima crisi politica, sociale ed economica. A richiamare l’attenzione sul Paese-messaggio, come aveva definito il Libano papa Giovanni Paolo II, la lezione aperta di monsignor Mounir Khairallah, eparca maronita di Batrun, una delle figure più vicine al patriarca di Beirut, nell’ambito del corso di Storia delle civiltà e delle culture politiche del professor Michele Brunelli, nella facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere della sede di Brescia dell’Università Cattolica.

La Repubblica libanese è sempre stata unica nel suo genere: un Paese-mosaico, formato da 18 diverse comunità religiose (12 cristiane, 5 musulmane e una ebraica), la cui popolazione è riuscita a vivere nel rispetto mutuo delle diversità grazie a una statualità unica al mondo, che riconosce a ogni comunità la libertà di gestire lo statuto personale dei propri fedeli. Un sistema che è riuscito a evitare il conflitto tra appartenenza religiosa e identità nazionale. Per questo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI l’hanno indicato come “Paese modello” e papa Francesco, che in giugno sarà in visita apostolica a Beirut, continua a difendere la natura del Libano come esempio della possibilità non solo della convivenza, ma di quella che padre Mounir, evocando don Tonino Bello, chiama convivialità delle differenze.

Quella che nel secolo scorso era chiamata “Svizzera d’Oriente”, è sempre stata una nazione in grado di garantire un certo benessere alla popolazione. Ora non è più così. Il primo scossone all’equilibrio del Paese-mosaico risale al 1948, al tempo della creazione dello Stato di Israele, cioè di un modello, antitetico a quello libanese, centrato su un solo popolo e una sola religione. A partire da quel momento, centinaia di migliaia di palestinesi sono emigrati e hanno trovato rifugio in Libano. La guerra civile che scoppiò nel 1975 fu, in realtà, un conflitto tra palestinesi e israeliani combattuto sul suolo libanese, che dilaniò il Paese fino al 1990 e portò all’ingresso dei leader delle milizie nell’amministrazione libanese, alimentando la corruzione del governo e impedendo la ricostruzione del “Paese modello”. 

Nell’ottobre 2019 i cittadini libanesi, stanchi della classe politica di uno “stato rubato”, come lo definisce il vescovo di Batrun, scesero in strada dando inizio alla rivoluzione, finita pressoché nel nulla. Il sistema bancario, ultima linea di difesa del Paese, crollò, le 64 banche chiusero gli sportelli e i libanesi non poterono più ritirare i loro risparmi di una vita. La svalutazione della moneta libanese abbatté il potere di acquisto. Oggi l’84% della popolazione libanese si ritrova sotto la soglia di povertà, un evento impensabile per una nazione ricca come il Libano, un piccolo Stato di 4,5 milioni di abitanti che ha accolto, non in campi profughi ma nelle case, 1,5 milioni di siriani scappati dalla guerra. La popolazione è allo stremo e muore perché mancano i farmaci di prima necessità, perché non c’è benzina per le autoambulanze, l’economia è collassata e la corruzione dilaga. 

Secondo padre Mounir, la soluzione è nella formazione di una nuova classe politica degna e nella capacità del popolo libanese di resistere alle avversità. Ormai in tutte le famiglie, in senso allargato, almeno una persona è andata all’estero per sopravvivere e manda i soldi a casa. Grazie alla solidarietà familiare i libanesi hanno resistito per 47 anni di guerra e dovranno continuare a farlo. 

Quello che chiede il vescovo per il suo Libano non è tanto un sostegno economico, comunque necessario, quanto piuttosto un aiuto a conservare l'identità del Paese, la cui principale ricchezza è la convivenza delle comunità che lo abitano. Né meno importante è la preghiera affinché torni a essere un “Paese modello”, un esempio di dialogo, di pace e di incontro tra culture e religioni per questo mondo dilaniato dalla guerra tra popoli, che sono in realtà fratelli. Che la misericordia possa vincere sulla violenza. 

Un articolo di

Laura Marusi

Studentessa laurea magistrale in Scienze linguistiche

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