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Se la guerra è un’opinione, la prima vittima è la realtà

09 maggio 2022

Se la guerra è un’opinione, la prima vittima è la realtà

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C’è un conflitto che si combatte sul terreno, ormai devastato, dell’Ucraina. Ma c’è una guerra che, in modo ancor più devastante, colpisce tutti noi. Le fake news viaggiano più veloci di un proiettile e mietono un maggior numero di obiettivi. Una dinamica che Pierluigi Ferrari, giornalista Rai e docente di “Media e informazione” al Dams della sede di Brescia dell’Università Cattolica, con una buona dose di provocazione, sintetizza nell’espressione “La guerra è un’opinione”, cui ha dedicato una lezione aperta lo scorso 5 maggio, in continuità con il percorso di riflessione sul tema “Rischiare la pace. Il prezzo della solidarietà, il dovere della libertà”. 

Un titolo che non lascia spazio all’immaginazione: la comunicazione sul conflitto russo-ucraino si gioca sul terreno delle opinioni e non su quello dei fatti. Per dimostrarlo, basta rivedere l’intervista rilasciata dal ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, a Rete 4. «Già l’annuncio, via social, anticipa che si proporrà “il punto di vista di Putin”» spiega il professor Ferrari. «Ma l’intervista è il genere giornalistico che, tramite la tecnica delle domande e delle risposte, cerca di far emergere i fatti. Non propone opinioni. Discutendo di punti di vista, come si sta facendo da mesi, non si arriverà mai a una verità condivisa». Giuseppe Brindisi, a “Zona Bianca”, ha lasciato che le “verità russe” rimanessero totalmente incontrastate. Anche perché il terreno di scontro preferito della guerra delle opinioni sono proprio i talk show, in cui «si fa informazione tossica, senza contradditorio, dove il format è teatrale o si potrebbe paragonare a un incontro di wrestling. La lotta, in questo caso, è tra opinionisti che recitano a copione e creano ascolti: una strategia che funziona, ma la disinformazione, che è pure legittimata dalla mediazione giornalistica, tracima». 

Di esempi, anche meno recenti rispetto a quello di Rete 4, ne sono stati proposti molti. «Le fake news risultano “credibili” perché sono state preparate da anni di strisciante propaganda. In Russia sono stati fatti grandi investimenti, presidiate le piattaforme, creati centri studi, penetrate istituzioni e centri media. Sputnik parla in 30 lingue diverse: non diffonde disinformazione a pioggia, ma mira a un’opinione pubblica molto precisa. Dimostrazione dell’efficacia dell’iperattivismo russo sono gli account pro-Putin, molto attivi sui social. Non è un caso che siano gli stessi che prima si dichiaravano “No euro” e poi “No vax”. La regia è chiara: il nemico è l’Europa e l’obiettivo è la destabilizzazione dall’interno e dall’esterno». 

Ma cosa sono le fake news? «Senza definizione, tutto e niente può diventarlo. Soprattutto quando il termine diventa un randello per colpire e zittire gli avversari. Non è richiesta verifica. Di questi tempi dire: “è una fake news”, suona come un giudizio inappellabile». Un allarme ancor più rumoroso, considerando un panorama informativo fortemente inquinato. «Hanna Arendt scriveva che quando tutti mentono, la conseguenza è che nessuno crede più a nessuno. E, in guerra, è più importante diffondere confusione che notizie false».

Parallela alla “guerra delle opinioni”, c’è la “guerra delle piattaforme”. «Per arricchirsi, hanno bisogno di far circolare singoli contenuti decontestualizzati. Ma senza contesto la notizia perde di significato e diventa impossibile riconoscere se sia vera o falsa. Ecco perché dovremmo chiedere alle piattaforme di assumersi la propria responsabilità, per fare in modo che i loro algoritmi non privilegino, come stanno chiaramente facendo ora, i contenuti divisivi». 

Come può, allora, il giornalismo rischiare la pace? L’appello di Pierluigi Ferrari fa risuonare le parole di papa Francesco che, nel novembre scorso, chiedeva agli operatori della comunicazione di “ascoltare, approfondire e raccontare”. Il loro impegno, però, non sarebbe sufficiente. Per questo, riprendendo l’enciclica “Fratelli tutti” (dove si dice che “la vera saggezza presuppone l’incontro con la realtà”, unica, vera strategia per concentrarsi sui fatti e non lasciarsi distrarre dalle opinioni), «rischiare la pace nel disordine informativo significa applicare alla lettera la lezione del pontefice. Ascoltare presuppone l’incontro con l’altro: da giornalisti, facendo bene il proprio lavoro e chiedendo alle persone di lasciarcelo fare».

 


Photo by Erik Mclean on Unsplash

Un articolo di

Elisa Garatti

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