Ascoltare le riflessioni su scuola, guerra, amicizia e spiritualità di Emiliano Rinaldini, ripercorrendo quei sentieri della Valle Sabbia dove nel 1945 incontrò la morte per mano dei fascisti, fa sembrare questo giovane maestro cattolico un amico con cui condividere ancora oggi e, soprattutto oggi, i grandi interrogativi della vita.
Emi aveva solo vent’anni quando venne fucilato alle spalle, ma era già una persona con un “dono speciale”, cresciuto a Brescia in un ambiente fecondo, quello dei padri della Pace e ispirato da buone letture e buoni maestri come padre Carlo Manziana e Vittorino Chizzolini.
Aveva più o meno la stessa età degli gli studenti della Facoltà di Scienze della formazione che, lunedì 23 maggio, hanno accettato l’invito del preside Domenico Simeone e delle docenti Daria Gabusi, Monica Amadini, Livia Cadei (Facoltà di Psicologia), Paola Zini a trascorrere una giornata sui monti del maestro e partigiano Rinaldini.
Fu una scelta sofferta per il giovane Emi aderire alle Fiamme Verdi, una scelta antifascista intima e personale, che sfociò solo successivamente in una responsabilità collettiva. Scrive Daria Gabusi nell’introduzione a “Il sigillo del sangue”, il diario spirituale di un maestro partigiano, regalato agli studenti e a tratti letto durante la camminata. «La ribellione del giovane maestro prese così forma come “processo” e un “percorso”, come maturazione interiore di una coscienza profondamente religiosa, sensibile alle ingiustizie sociali, che decise di imbracciare le armi proprio nella prospettiva di far nascere, dalle macerie della guerra e dalle ceneri dei totalitarismi, una società più cristiana e più giusta».
Egli sapeva bene che la sua scelta sarebbe ricaduta anche sui suoi famigliari - come ricorda anche Raffaele Maiolini, parroco delle Pertiche nonché docente di Teologia in Cattolica, seduto davanti all’eremo di Barbaine. Infatti, proprio lì accanto nel sacrario dedicato ai partigiani della brigata Perlasca, troviamo il nome del fratello Federico.