Quando Papa Francesco parla di sport dice sempre cose sagge, profonde e originali. Ma a me rimane una strana, piacevole sensazione: che dietro alla saggezza, all’originalità e alla profondità del pensiero ci sia qualcosa in più. Non si limita a parlare in generale di valori, come molti fanno abusando di questa parola che trasformano in un termine generico, neutro. No, ci dice con precisione quali sono questi valori, li riassume in sette parole chiave: lealtà, sacrificio, spirito di gruppo, impegno, inclusione, riscatto e ascesi. E quando approfondisce il significato di sacrificio o di ascesi lo fa con similitudini sorprendenti che accostano la pratica dello sport all’esperienza religiosa e addirittura a quella della santità.
Eppure anche di fronte a letture così originali ed estreme, mi resta la sensazione che non sia tutto, che in Papa Francesco ci sia qualcosa in più.
Accade che entri nella specificità dei ruoli e parlando dell’allenatore, tema su cui è facile cedere alla retorica, come molti hanno fatto. Francesco invece sottolinea una cosa semplice e drammatica che potremmo chiamare la solitudine dell’allenatore, il suo destino di essere nascosto, dimenticato nel momento della vittoria della sua squadra o del suo atleta e di diventare il centro dell’attenzione nel momento della sconfitta. È il destino dell’educatore, a cui si attribuiscono le responsabilità di un fallimento pedagogico assai più spesso che i meriti per il successo di un suo discepolo.
E poi ancora c’è il delicato tema della sconfitta, altro tema che induce spesso nella tentazione della retorica, del moralismo che pretende di essere anticonformista e su cui Francesco ha saputo dire la cosa più semplice e vera: che la sconfitta è importante soprattutto quando insegna a mettercela tutta e perché offre la possibilità di rialzarsi e riprovare a vincere. Forse è un caso ma parole di tanta saggezza tranquilla le ho udite da un conterraneo del papa, da qual grande uomo di sport che è Julio Velasco.
Da dove viene dunque qual qualcosa in più, di autentico, di concreto che si sente nelle parole di Francesco quando parla di sport? Forse dall’esser estato in gioventù un praticante di sport o dall’essere stato e continuare a essere un tifoso, dal ricordo incancellabile di quella giornata del 1946 in cui bambino insieme con il papà grande tifoso e i quattro fratelli più giovani invase il campo del San Lorenzo per festeggiare l’imprevedibile vittoria nel campionato argentino della squadra rossoazzurra.