«Appena ho concluso l’esame stavo per piangere. Nei miei studi universitari ho cercato sempre di dare il massimo e concludere con un 30 e lode è stato davvero il coronamento di tutto l’impegno che ho sempre messo nella preparazione degli esami, così come nel seguire le lezioni. La consapevolezza di aver raggiunto livelli così alti e di aver fatto tutto da sola è stata davvero, per me, una immensa soddisfazione». Racconta così Silvia Antonacci, laureanda della Facoltà di Lettere e filosofia, ciò che ha provato e pensato subito dopo aver dato il suo ultimo esame - Retorica e forme della persuasione – con la professoressa Elisabetta Matelli.
In particolare, Silvia racconta come la “notte prima del suo ultimo esame” – dopo aver passato un po’ di tempo con degli amici per distrarsi e rilassarsi - oltre alla consueta insonnia, dovuta a quell’ansia che l’ha sempre accompagnata prima di ogni esame, test, interrogazione, si sia continuamente chiesta, tra l’incredulità e l’assurdo, come «era riuscita ad arrivare lì, all’ultimo esame, superato il quale ci sarebbe stata la tanto desiderata laurea».
Se ripensa al suo percorso universitario in Cattolica, Silvia non ha dubbi nell’affermare che l’esame che le ha dato maggiori soddisfazioni è stato Letteratura italiana moderna e contemporanea, una materia che l’ha appassionata e che infatti ha scelto per l’elaborato di tesi: «È un esame molto lungo, ma è esattamente il mio tipo di esame, vale a dire basato su collegamenti e confronti tra gli autori, che permettono di fare un discorso trasversale della materia senza limitarsi al singolo autore». Una menzione d’onore Silvia però la riserva anche all’esame di Storia della lingua italiana: «Perché è stato molto divertente analizzare, studiare ed esercitarsi sui fenomeni della lingua italiana e perché l’interrogazione è stata molto stimolante, in quanto il professore mi esortava a ragionare su ogni quesito posto».
Definisce invece «un’esperienza tragicomica» il suo primo esame di Storia medioevale. «Avevo studiato tantissimo ma male, quindi arrivai al giorno dell’esame preparata solo su metà del programma…e infatti fui bocciata e scoppiai a piangere» ricorda Silvia, rammentando anche – non essendosi ben organizzata - quanto tempo aveva perso nella preparazione di quell’esame che poi, acquisito maggior metodo e rigore nello studio, riuscì a superare con un bel 29 come voto. A fronte di questa esperienza del primo esame, e soprattutto alla luce di tutte le prove scritte e orali superate del suo corso di laurea, Silvia si sente di dire che «la costanza e l’organizzazione nello studio sono alla base del successo».
Alle future matricole consiglia infatti di «studiare poco poco ma sempre sempre. È ciò che mi ha sempre ripetuto mia mamma fin dalle scuole elementari, ed è stato quello che mi ha permesso di laurearmi con ottimi voti e nel tempo previsto. Dedicare due o tre ore tutti i giorni allo studio ti porta poi all’inizio della sessione con metà del lavoro fatto; quindi, puoi non solo vivertela in modo più rilassato, ma anche sostenere più esami, perché alcuni li hai già pronti».
Forte di questo metodo di studio Silvia ammette di non aver accompagnato i suoi esami con particolari scaramanzie; se inizialmente infatti aveva l’abitudine “pre-esame” di riordinare bene la propria camera, da cima a fondo, poi con il tempo «l'unico rito messo in atto - sempre dalla prima all'ultima prova - è stato quello “post-esame” di tornare a casa e dormire almeno due ore, io e una mia amica abbiamo chiamato queste belle dormite: "il riposino dei giusti"».
Silvia è una ragazza curiosa, brillante, entusiasta. E ciò traspare quando parla dei suoi anni in Cattolica: «Ho studiato Lettere e ho amato alla follia questi studi» così come quando spiega con passione l’argomento di tesi con cui si laureerà a breve, entro la fine del mese di luglio: «Il professor Davide Savio è il relatore della mia tesi in Letteratura italiana moderna e contemporanea, intitolata La maturazione del reietto in tre romanzi di formazione (Verga, Pratolini, Zannoni). Sostanzialmente parla dell’impossibilità di colmare la lacuna che c’è tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, a causa di forze esterne che non sono in nostro potere. L’immobilismo è la condizione a cui sono destinati i protagonisti dei romanzi che ho analizzato e ognuno lo vive con una sfumatura diversa: per Verga nel romanzo “I Malavoglia” è un immobilismo sociale, per Pratolini invece in “Un eroe del nostro tempo” è a livello politico, mentre per Zannoni nei “I miei stupidi intenti” è a livello umano».
Un entusiasmo contagioso quello di Silvia, che sicuramente l’accompagnerà anche nel progettare il suo futuro prossimo da laureata.