Nicolangelo D’Acunto, docente di storia medievale in Università Cattolica a Milano e a Brescia, dove dirige il Dipartimento di Studi medioevali, umanistici e rinascimentali e il Centro studi sulla storia degli insediamenti monastici europei, ha curato, con Guido Cariboni ed Elisabetta Filippini, l’ultimo libro della serie Le Settimane Internazionali della Mendola, intitolato "Dopo l’Apocalisse. Rappresentare lo shock e progettare la rinascita (secoli X-XIV)", edito da Vita e Pensiero. La casa editrice del nostro Ateneo ha rivolto al professor D’Acunto alcune domande per approfondire il tema delle reazioni sociali ai grandi shock del passato, trovando parallelismi con quanto accaduto di recente con la pandemia Covid.
Nel sottotitolo del volume, Rappresentare lo shock e progettare la rinascita, compare il termine shock: cosa significa in storiografia?
«Abbiamo usato consapevolmente un termine tecnico-scientifico e medico che indica uno stimolo intenso, di natura fisica o psichica e per estensione un’impressione violenta e improvvisa, un trauma psichico o una sindrome a insorgenza acuta ed evoluzione più o meno drammatica, che compromette le funzioni vitali e la fisiologia dell’organismo interessato, mettendo in crisi l’armonico funzionamento dei vari organi e apparati. L’accezione medica è forse la più vicina alla nozione di shock applicata all’ambito sociale e istituzionale, ove non mi pare che questa categoria avesse avuto una compiuta tematizzazione. Certo è che lo shock sociale, di cui ci occupiamo in quanto storici, come quello dell’organismo umano o animale, ha un’insorgenza acuta per cause anch’esse molteplici e gravi con esiti più o meno drammatici. Inutile dire che il parallelo si estende alla compromissione della fisiologia del corpo sociale, a motivo del turbamento subito dalle normali modalità di interazione delle diverse componenti della società».
E la società può guarire dagli shock?
«Mentre dagli shock che interessano l’organismo esso può ristabilirsi quasi completamente, nel caso delle società il ritorno allo status quo ante è praticamente impossibile».
Lo spunto del tema del volume, scrive nella prefazione, è nato durante la pandemia Covid-19: qual è il punto di contatto tra gli eventi catastrofici del passato e quanto accaduto recentemente?
«La storia non si ripete mai e non è possibile trovare delle leggi che regolino le società con la stessa regolarità che troviamo nel mondo fisico. È tuttavia evidente che la pandemia ci stava mostrando che la vita sociale e individuale in tutte le sue componenti era condizionata dalla declinazione affatto inedita della surrogabilità della presenza fisica nei più diversi e disparati ambiti: quello del lavoro, per esempio, della didattica scolastica e universitaria e perfino quello della pratica religiosa. Nostro malgrado ci trovavamo nel bel mezzo di un passaggio epocale che si poteva comodamente aggiungere al vasto ed eterogeneo campionario di analoghe trasformazioni che avevamo osservato nel convegno del 2019».
Fa riferimento al convegno su Presenza-assenza, da cui poi è nato l’omonimo saggio?
«Esatto, avevamo dimostrato che le grandi cesure della storia dell‘istituzionalità del medioevo centrale corrispondevano ad altrettanti decisivi tournant della storia del rapporto tra presenza fisica e assenza».
Stabilito che le apocalissi, in quanto eventi definitivi e catastrofici, segnano un punto di rottura col passato, quando e da dove nasce l’idea secondo cui gli uomini medievali credevano che fossero legate al disvelamento di un progetto d’innovazione divina?
«Certamente pesavano l’eredità biblica e patristica, che agli intellettuali del medioevo (e a cascata attraverso la pastorale anche alle persone comuni) fornivano i concetti per l’interpretazione della realtà e le parole per comunicarla. L’uomo medievale la storia e la natura erano il linguaggio di Dio, il modo con cui Dio si comunicava e che l’uomo doveva decrittare. Certamente nel corso del millennio medievale le modalità con cui tutto questo veniva declinato secondo i tempi e i luoghi, con minore o maggiore ottimismo circa le possibilità per l’uomo di reagire alle calamità e di ricominciare».
Quali sono state le cause di shock più eclatanti del passato e quelle raccontate e scelte dagli autori?
«Accanto a shock “famosi” come la Peste nera del XIV secolo o il sacco di Roma del 410 ad opera dei Visigoti di Alarico, troviamo eventi cesura che a noi dicono poco come l’episodio di Canossa del 1077 o gli scismi dell’XI secolo, le scomuniche di papi e imperatori, oppure i traumi prodotti all’interno di singole comunità religiose e più strutturati ordini e congregazioni, tutti avvenimenti percepiti dai contemporanei con la stessa valenza periodizzante che noi abbiamo attribuito di volta in volta alla caduta del muro di Berlino, all’11 settembre o alla pandemia».
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