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Su Afghanistan e Cina la continuità Biden-Trump

19 ottobre 2021

Su Afghanistan e Cina la continuità Biden-Trump

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Una ritirata tragica e frettolosa che ha colto di sorpresa il mondo intero. Perché Joe Biden ha deciso di lasciare in quel modo l’Afghanistan? Una domanda a cui gli esperti di politica internazionale danno risposte diverse, anche perché ogni tipo di approccio, come fa notare il professor Vittorio Emanuele Parsi nell’Aserincontra del 18 ottobre scorso, «aiuta a vedere una prospettiva». 

Il professor Gabriele Natalizia, docente di International Relations alla Sapienza di Roma e autore del volume Renderli simili o inoffensivi. L'ordine liberale, gli Stati Uniti e il dilemma della democrazia (Carocci), propone una lettura in linea con la tesi contenuta nel titolo dell'omonimo volume presentato all’Alta Scuola in Relazioni internazionali: in presenza di un ordine internazionale stabile, cioè non sottoposto a sfide strategiche, gli Stati Uniti tendono a perseguire obiettivi secondari, tra cui la promozione della democrazia in alcuni Paesi (“renderli simili”); quando prevale l’instabilità internazionale, sfidato da potenze “revisioniste” come Russia e Cina, l’America tende a tagliare alcuni impegni, tra cui l’esportazione della democrazia (“renderli inoffensivi”, cioè non occuparsi del tipo di governo dei Paesi “secondari” purché non destabilizzi la loro egemonia). 

Un modello interpretativo che, secondo il professor Natalizia, permette di leggere almeno 70 anni di storia americana e di alternanza alla Casa Bianca che «non produce mai grandi cambiamenti nell’oscillazione suggerita dal titolo del libro: la variazione è prodotta dalle trasformazioni delle strategie internazionali». Per questo la ritirata dall’Afghanistan, nel tempo dell’ascesa della potenza cinese, è una scelta in continuità con le presidenze Obama e Trump, perché «già dal 2003 questo era considerato un fronte minore».

Sulla continuità tra Biden e Trump in politica estera concorda anche Sonia Lucarelli, docente di Scienza politica e relazioni internazionali all’Università di Bologna. Con un approccio interpretativo costruttivista, più centrato sul rapporto tra politica interna e politica internazionale, che propone una lettura alternativa sia sulla ritirata dall’Afghanistan sia sulla sfida rappresentata dalla Cina. L’erosione della democrazia come valore guida anche all’interno delle società occidentali, a partire da quella americana, con l’incapacità di mantenere le proprie promesse (benessere e sicurezza), con la crisi della classe media e l’indebolimento dei corpi intermedi, porta all’ascesa delle forze populiste/sovraniste. «La loro politica estera è erratica rispetto alle linee tradizionali di un paese, raccoglie un consenso nell’immediato e va contro ogni progetto di un ordine». Come è successo con Trump negli Stati Uniti ma anche in alcuni Paesi europei. «È un processo indipendente dall’ascesa della Cina: il problema non sta tanto nella sfida oggettiva che questa potenza rappresenta ma nella lettura che gli Usa danno della sua ascesa. L’ossessione per la minaccia cinese è la base per la costruzione di una nuova guerra fredda». 

La continuità nell’atteggiamento verso la Cina tra Biden e Trump è determinata, quindi, «più che dalla struttura del sistema internazionale, dal fatto che l’attuale presidente si trovi ad affrontare in politica interna le stesse sfide che avevano portato alla presidenza Trump» fa notare la professoressa Lucarelli. «Se non le risolve ora, al prossimo giro elettorale sarà nuovamente eletto The Donald o uno simile».

Una interpretazione che porta a dire che «una potenza che voglia tentare di mantenere una rilevanza a livello internazionale deve lavorare sia sul lato esterno che su quello interno». Un compito che richiede un grande sforzo. «Il ritiro dall’Afghanistan condotto così male credo risponda a questa esigenza: gli Stati Uniti promuoveranno meno democrazia non solo per i cambiamenti sul piano internazionale ma anche per le proprie dinamiche interne». Insomma, il risultato non cambia, ma cambiano le spiegazioni che se ne possono dare. Che è poi il compito di chi fa ricerca.



Il prossimo appuntamento con AserIncontra, “Calcio & geopolitica. Come e perché i paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici”, si terrà lunedì 25 ottobre alle 18.30: interverranno Valerio Mancini, Rome Business School, Alessio Postiglione, giornalista e docente (Rome Business School), Narcís Pallarès-Domènech, addetto relazioni esterne della Delegazione del Governo della Catalogna in Italia, Massimo Cosentino, General Manager, FC Sion Olympique des Alpes, ex segretario sportivo Inter. Introduce il professor Vittorio Emanuele Parsi, direttore Aseri.

Un articolo di

Paolo Ferrari

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