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L'equivoco don Milani

18 ottobre 2023

L'equivoco don Milani

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«Come è stato possibile che un personaggio come don Milani, nemico della scuola pubblica e tendenzialmente conservatore sia diventato un'icona della cultura progressista?». Con questo interrogativo il professor Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell'Alta Scuola di Economia e Relazioni internazionali ha introdotto il primo appuntamento della nuova stagione di ASERIncontra, dedicato al priore di Barbiana di cui, quest'anno, si celebrano i cento anni dalla nascita.

Una domanda a cui hanno provato a rispondere, lunedì 9 ottobre, gli storici Ernesto Galli della Loggia e Adolfo Scotto di Luzio, autori rispettivamente de L'aula vuota (Marsilio, 2019) e L'Equivoco Don Milani (Einaudi, 2023). «Si tratta - ha detto introducendo i relatori il professor Parsi - di ripercorrere un itinerario nell'Italia a cavallo tra gli anni '50 e '60 del Novecento. Una società che viveva in uno stato democratico che, però, aveva una cultura democratica estremamente debole».

«Don Milani - ha spiegato Ernesto Galli della Loggia - non rappresenta un capitolo della pedagogia italiana ma una parte della storia della Chiesa del nostro Paese. Perché è un prete. Un prete di una Chiesa che in un qualche modo ormai non esiste più, quella della Controriforma. Nella sua vita non manifesta nessun interesse per il Concilio Vaticano II anzi tutte le sue manifestazioni di tipo teologico sono di segno opposto. Don Milani appartiene nello spirito a quella Chiesa. Un cattolicesimo che pensa che il suo più grande nemico sia lo stato borghese e che la sua istruzione pubblica sia un losco artificio per snaturare l’essenza dell’autenticità popolare. Il suo obiettivo principale è la difesa dei suoi ragazzi dalla contaminazione con quella cultura». 
 


«L'insegnamento di don Milani - prosegue - non ha niente a che fare con la democrazia. Detestava De Gasperi non da sinistra, ma da destra, perché secondo lui la Dc aveva perso di creare una vera società cristiana in Italia. Al priore non interessava la scuola democratica, come possiamo intenderla noi oggi, perché la scuola pubblica era un imbroglio per corrompere le classi popolari con una natura che non era la sua, fingendo di emanciparlo, ma che in realtà puntava a escluderlo completamente. Per questo il suo 'nemico' è la famosa professoressa. Un paradosso che un personaggio simile, che ai miei occhi ha qualcosa di eroico come tutti coloro che combattono per una causa persa, sia diventato un’icona della scuola democratica, inclusiva. Lui che voleva preservare, e dunque escludere, i suoi ragazzi da quel tipo di insegnamenti».

«Gli intellettuali democratici italiani Tullio De Mauro in testa - conclude Galli della Loggia - davanti a "Lettera a una professoressa", che davvero era un testo rivoluzionario, traggono una conclusione indebita ovvero la democratizzazione dell’insegnamento e dei programmi. Ma a don Milani la scuola che si fa bella col suo nome avrebbe fatto orrore».

Un don Milani, dunque, "inventato" dal '68? «Don Milani - ricorda Adolfo Scotto di Luzio - muore poco prima e questo lo sottrae dalla discussione. "Lettere a una professoressa" diventa un testo fondamentale di quel periodo, nonostante fosse stato scritto da un prete. E la sua appartenenza alla Chiesa cattolica viene rimossa. Ma così facendo viene meno un punto chiave: la sua visione sull’istruzione, infatti, è sempre funzionale all’evangelizzazione delle classi popolari. Il popolo deve essere istruito perché deve poter capire quel che il prete dice dall’altare. Una priorità chiara del suo pensiero ribadita in tutti i suoi scritti. Tutto questo viene rimosso nella ricezione di Lettera a una professoressa nel corso del periodo sessantottino. Poi, negli anni ’80, entra in un cono d’ombra, esce di scena. Successivamente il suo pensiero - prosegue - torna in auge in concomitanza di due fatti: la crisi del Pci e del marxismo e la riforma della scuola dei primi anni ’90 in cui don Milani diviene il teorico della scuola democratica, il John Dewey italiano, senza che nessuno obietti qualcosa perché tutta la discussione verte sul mito, sull’immagine, su tutto ciò che gira attorno alla sua figura. Nessuno si prende la briga di leggere i suoi testi e così, naturalmente, gli si può far dire tutto.». 

«Don Milani - conclude Scotto di Luzio - non voleva includere, voleva escludere, voleva evitare che la parte più talentuosa del popolo venisse strappata alla solidarietà della comunità popolare e inserita in uno spazio nuovo, quello della cultura urbana e borghese che don Milani considerava il vero nemico, la minaccia all’anima del popolo. Nel suo pensiero non c’è la democrazia. I testi, in maniera netta, ci dicono che don Milani apparteneva a un altro mondo. Voleva sì una rivoluzione, ma una rivoluzione cristiana una sorta di restaurazione della teocrazia». 

 


Il secondo appuntamento della stagione 23/24 di ASERIncontra è in programma a Milano presso la sede dell'Alta Scuola lunedì 23 ottobre alle ore 18.30. Si parlerà delle monarchie arabe del Golfo, un nuovo centro di gravità in Medio Oriente. Interverranno Cinzia Bianco, Research fellow, European Council on Foreign Relations, Matteo Legrenzi, professore di Scienza politica all’Università Ca’ Foscari di Venezia e il professor Riccardo Redaelli, docente di Storia e Istituzioni dell'Asia dell'Università Cattolica. Modera il professor Vittorio Emanuele Parsi.

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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