Le monarchie arabe del Golfo, in passato rappresentate in modo esotico, con sceicchi e emiri in abito tradizionale nelle loro lussuose e sfarzose residenze, negli ultimi decenni hanno cambiato status. Alla ricchezza, spesso ostentata, si è aggiunta una centralità sullo scenario internazionale che ha trasformato questi Paesi in attori di primo piano sullo scacchiere geopolitico. A dimostrarlo, proprio in questi giorni, è l'ultimo capitolo del conflitto israelo-palestinese con l'attacco di Hamas del 7 ottobre e la successiva guerra di Gaza. Una crisi che ha avuto, secondo gli analisti, tra i possibili casus belli, la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Israele e in cui il Qatar, vicino a Hamas, può giocare ruolo importante come mediatore.
A questi Paesi, e al loro ruolo come nuovo centro gravitazionale dell'area mediorientale, hanno dedicato un volume, edito da Il Mulino, gli accademici Cinzia Bianco e Matteo Legrenzi, che, lunedì 23 ottobre, sono stati con il professor Riccardo Redaelli, direttore del master Mimes, i relatori del secondo appuntamento del ciclo ASERIncontra, moderato dal direttore dell'Alta Scuola in Relazioni economiche e internazionali Vittorio Emanuele Parsi.
«Un libro importante - ha ricordato nella sua introduzione il professor Parsi - perché ci conduce all'interno della struttura politico-istituzionale delle monarchie del Golfo, regimi non comparabili con gli altri e che sono stati quasi tutti coinvolti in quelli che sono stati definiti “Gli accordi di Abramo”».
«C’è stata una trasformazione del sistema politico arabo post-coloniale davvero straordinaria - ha spiegato il professor Redaelli - l'evoluzione di questi Paesi è avvenuta in punta di piedi, tanto che ce ne siamo accorti quando era già realtà. Tutto questo non può essere letto solo con la loro ricchezza. I soldi aiutano, ma non sono sufficienti. Con l’ascesa di queste monarchie si sono modificati non solo i rapporti di forza ma anche i riferimenti internazionali. Alcune capitali, nuove, sono diventate influenti ed è mutata anche la nostra percezione della zona. Tutto il Mediterraneo centrale è stato aspirato da una visione più allargata che ha uno dei centri, non l’unico, nel Golfo».
«Un importante politico iracheno un giorno - ha raccontato Redaelli - mi disse che "i Paesi del Golfo sono adolescenti viziati e ignoranti che vogliono dettare ordini a noi che abbiamo cinquemila anni di storia". Una frase ingenerosa che denota anche la grande frustrazione dei Paesi che guidavano il mondo arabo e che si sono visti sottrarre – anche, se non soprattutto, per loro colpe – questa posizione egemone. Oggi questo scenario è evidente anche a causa del disinteresse degli Usa e dell’autolesionismo dell’Europa. Ma va evidenziato anche che non sono un blocco unitario: tra loro ci sono grandi differenze storiche rivalità e diversità. Per esempio l’Oman, quello meno ricco ma forse più saggio, ha avuto sempre rapporti con l’Iran. Senza dimenticare lo scontro tra Arabia Saudita e Emirati Arabi, dove gli interessi divergenti in Yemen hanno prodotto uno scontro aspro».
«Un momento di svolta importante - ha spiegato Cinzia Bianco, Research fellow presso lo European Council on Foreign Relations - è stata l'invasione americana dell'Iraq nel 2003 innanzitutto perché acuisce l'influenza iraniana sull'Iraq. Una maturazione di questa transizione avviene poi nel 2011 e negli anni successivi. Un esempio? Nel 2013 in Italia rispetto alla questione della Libia da noi si è parlato molto della rivalità tra il nostro Paese e la Francia per determinare il futuro politico economico sociale libico quando in realtà era chiaro che il futuro della Libia si decideva tra Doha e Abu Dhabi, né a Roma né a Parigi. Tant'è che i francesi hanno colto subito questa dinamica si sono accodati alla loro parte preferita che era in quel momento era emiratina».
«Sulla crisi di Gaza - aggiunge Bianco - in questo momento la situazione è assolutamente congelata e mi sembra difficile che possa "scongelarsi" presto perché i sauditi hanno responsabilità nei confronti dell'opinione pubblica arabo-islamica. Ma non è tutto bloccato come dimostra la telefonata tra Mohammed bin Salman e il presidente iraniano. Si sono parlati il 12 ottobre, dopo gli attacchi di Hamas. In generale in Araabia Saudita c'è grande confusione in questo momento perché se da un lato c'è una popolazione che è decisamente filo-palestinese c'è anche una corrente, e lo si vede bene soprattutto sui media, molto critica nei confronti di Hamas perché la leadership saudita, in pspecial modo quella attuale, da anni è ostile alla fratellanza musulmana e a tutti i movimenti islamisti. La normalizzazione è ferma ma non è morta. Ma ci sarà bisogno di molto tempo e che passi tanta acqua sotto i ponti dal livello politico e geopolitico perché si possano "spacchettare" i vari filoni».
«Nel Medio Oriente le situazioni si congelano improvvisamente, come abbiamo visto con gli attacchi del 7 ottobre - ha detto il professor Matteo Legrenzi, docente di Scienze politiche alla Ca' Foscari di Venezia e Research associate all'Università di Oxford - ma altrettanto rapidamente si "scongelano". Il fatto che le monarchie del Golfo siano viste come mediatori la dice lunga sulla loro importanza. La normalizzazione dei rapporti Israele-Arabia Saudita, nel mirino di Hamas, aveva provocato un entusiasmo decisamente imprevedibile, anche in Paesi come il Bahrein, e in tutta la classe imprenditoriale della zona. Naturalmente quando analizziamo le politiche di queste monarchie stiamo parlando della volontà dei regnanti che fanno quel che vogliono senza opposizione interna anche se, come ricordato resta un afflato, a livello di società, specie in Kuwait, per la causa palestinese. Ma c'è anche la volontà di volere andare avanti, innovarsi, un processo sponsorizzato e incoraggiato. In tal senso va visto anche l'intraprendenza dell'Arabia Saudita, che anche in virtù di un interesse scemato da parte degli Usa, ha cominciato a guardarsi in giro, forse troppo rispetto al passato, come dimostrano alcune iniziative con la Cina».
Il prossimo appuntamento, che rientra nell'edizione 2023 di Bookcity, sarà dedicato all'arma della disinformazione in politica, dalla guerra in Iraq a quella in Ucraina. Interveranno l'autrice del volume omonimo, edito da Vita e Pensiero, Serena Giusti, docente di Relazioni Internazionali al Sant'Anna di Pisa e il professor Fausto Colombo, docente di teorie e tecniche dei media del nostro Ateneo. Modera il direttore Aseri Vittorio Emanuele Parsi. Appuntamento lunedì 13 novembre (ore 18.30) presso la sede dell'Alta Scuola a Milano in via San Vittore 18. Clicca qui per info e registrazioni.