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The Last 20, un summit “dal basso” per guardare il mondo con lo sguardo degli ultimi

27 ottobre 2021

The Last 20, un summit “dal basso” per guardare il mondo con lo sguardo degli ultimi

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Il mondo e i suoi temi cruciali, visti dagli ultimi. È questo che ha caratterizzato The Last 20, l’iniziativa che vuole rappresentare i venti paesi più “impoveriti” del nostro pianeta. Nazioni che sono state scelte in base alle statistiche internazionali tratte dai principali indicatori socio-economici e ambientali. Sono Afghanistan, Burkina Faso, Burundi, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea Equatoriale, Guinea Bissau, Haiti, Libano, Liberia, Malawi, Mali, Mozambico, Niger, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan e Yemen.

Il progetto, promosso da Fondazione Terre des Hommes Italia, Fondazione Casa della Carità, Associazione Laudato si’ e Associazione East River, è nato, con la costituzione di un comitato, nel febbraio di quest’anno con l’idea di creare uno spazio in cui i partecipanti degli ultimi 20 possano discutere questioni importanti. Appena è stato possibile questo è stato fatto attraverso diverse tappe, tra cui Reggio Calabria, Roma, Abruzzo-Molise e, dal 24 al 27 settembre, Milano. Tanti gli argomenti toccati: l’insicurezza alimentare, la povertà, la fame, la condizione femminile, la salute globale, le conseguenze del cambiamento climatico, il coinvolgimento e la partecipazione dei giovani in temi così importanti.
 

"Contrastate il climate change, adesso". Il position paper di 'Last 20'


Nella tappa di Milano, grazie al Centro per la Solidarietà Internazionale (CESI) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, noi studenti abbiamo avuto la possibilità di partecipare in prima persona e lavorare direttamente con alcuni rappresentanti dei 20 paesi protagonisti con l’obiettivo ultimo di redigere un documento da presentare alla PreCop 26. Questo evento ha creato una piattaforma capace di dare voce, cambiare la narrazione, combattere l'ingiustizia e agire insieme, o meglio, cooperare per obiettivi comuni e condivisi. In particolare, l'obiettivo primario consiste nel contrastare la mancanza di rappresentanza dei Paesi più vulnerabili e maggiormente colpiti dalle conseguenze della crisi climatica all’interno della comunità internazionale.

Un articolo di

Angelica Bosco, Anna Virginia Esposito Santangelo, Erka Tana, Francesca Pellegatta, Giulia Tringali, Leonardo Esposito, Martina Mereni e Simona Compagni

Angelica Bosco, Anna Virginia Esposito Santangelo, Erka Tana, Francesca Pellegatta, Giulia Tringali, Leonardo Esposito, Martina Mereni e Simona Compagni

Studenti Università Cattolica - Campus di Milano

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Primo giorno

“Salute globale al tempo del Covid-19” è stato il tema discusso durante questa prima giornata di conferenze. È emerso come l’attuale pandemia ha evidenziato le carenze dei sistemi sanitari e la mancanza degli strumenti essenziali per combatterla, soprattutto nei paesi più “impoveriti”. La lotta per la salute, che ancora oggi in moltissimi paesi è considerata un lusso e non un diritto, ha portato molte popolazioni, ad esempio in Afghanistan, ad emigrare nei paesi confinanti - come ha raccontato l’attivista Maria Khoshy - per ricevere cure e assistenza adeguate. Inoltre, la pandemia -come ha spiegato l’attivista Brigitte Kabu - soprattutto in Africa, ha causato l’aumento delle violenze di genere e la mortalità delle donne, dal momento che gli uomini anziché combatterla hanno accentuato la loro violenza. Bisogna, quindi, perseguire l’obiettivo della “salute per tutti”, ripartendo dai bisogni e dalle risorse locali, combattendo le disuguaglianze e ascoltando tutte le popolazioni. La giornata si è conclusa con un dibattito tra i rappresentanti di alcuni dei paesi dei The Last 20, dove si è discusso sulla necessità di trovare una voce univoca che provenga dai paesi in questione e che parli di questi paesi, senza dover essere rappresentati dalle voci dei paesi occidentali.

Secondo giorno


“I cambiamenti climatici visti dal basso” è stato invece il tema del secondo giorno di conferenze. Cruciale è stato evidenziare come la crisi climatica abbia ripercussioni sia ambientali, ma anche sociali ed economiche, soprattutto nei paesi più “impoveriti” del mondo. I suoi effetti sono «una concausa delle migrazioni», come spiegato dal sociologo Maurizio Ambrosini, ma è anche una delle radici di problematiche quali il landgrabbing, ovvero l’accaparramento delle terre, il quale porta alla «sparizione di colture, e quindi di culture, cioè di usanze, mestieri e di un bagaglio di conoscenze inestimabili» come sottolineato da Mani Ndongbou Bertrand della Federazione delle Diaspore Africane. Strettamente connessa alla crisi climatica è anche la problematica del watergrabbing, l’accaparramento dell’acqua, bene fondamentale e sempre più scarso, causa di conflitti, soprattutto in assenza di istituzioni solide. La presenza di governi corrotti e che non tutelano i diritti dei loro popoli amplifica e aggrava, infatti, gli effetti della crisi climatica: è il caso, ad esempio, della deforestazione della Foresta Equatoriale in Repubblica Democratica del Congo, come testimoniato dall’attivista Odette Mbuyi e del legame tra la carenza di risorse idriche e la coltivazione dell’oppio in Afghanistan, documentato da Syed Hasnain, presidente di UNIRE – Unione Nazionale Italiana per Rifugiati ed Esuli.

Terzo giorno


La terza giornata di conferenze ha visto protagonisti i giovani, l’attivismo e il tema della crisi climatica. Durante la sessione “I giovani per un riequilibrio ambientale e sociale”, coordinata da John Mpaliza, delegato Last 20 della RDC, sono intervenuti relatori e relatrici protagonisti e portavoce dell’attivismo ambientale giovanile: Pauline Owiti, organizzatrice della Mock COP26, Ismail Joel Eboa Eyoum, segretario generale dell’African Network of Young Leaders for Peace and Sustainable Development, Martina Comparelli, di Fridays For Future Milano e i due rappresentati italiani all’evento Youth for Climate e alla PreCop26: Federica Gasbarro e Daniele Guadagnolo.
 

Il racconto degli studenti Unicatt sull'HuffPost


Si è discusso di quanto sia imperativo ed urgente affrontare la sfida climatica e sulla necessità di rimettere i giovani al centro di tale discussione: il futuro è nostro e noi dovremmo guidare il cambiamento. La crisi climatica è “acceleratore e moltiplicatore di altre crisi” e profondamente interconnesso alla crisi sociale, alla povertà e ai conflitti. Si è notato come ogni paese subisca in modo diverso le conseguenze del climate change, - ad esempio, siccità e innalzamento delle acque in Kenya, deforestazione e iper-sfruttamento del suolo in Camerun- e come questo implichi un adattamento delle politiche, e anche delle modalità di fare attivismo, a seconda del contesto. Nonostante le peculiarità territoriali, una cosa è però certa: la crisi climatica coinvolge tutto e tutti e insieme dobbiamo trovare la soluzione.

La giornata si è conclusa presso East River Martesana con un bellissimo concerto di Woodoism, un gruppo jazz svizzero, la cui musica si ispira all’Africa. Ad accompagnarli, Dudu Kouatè, griot senegalese, componente stabile dell’Art Ensemble di Chicago. Un mix potentissimo di ritmi e suoni che hanno reso un pomeriggio di pioggia incredibilmente caldo e pieno di energia.

Quarto giorno


Durante la mattina di lunedì 27 settembre si è tenuta la stesura del documento ufficiale a conclusione del ciclo di conferenze The Last 20 presso East River Martesana (Milano). Presenti, oltre a noi studenti della Cattolica, Ismail Joel Eboa Eyoum, segretario generale dell’African Network of Young Leaders for Peace and Sustainable Development (ANYL4PSD), Pauline Owiti, delegata del Mock COP26, John Mpaliza, delegato Last 20 per la Repubblica Democratica del Congo e Maria Khoshy, rifugiata afghana, congiuntamente a Bruno Neri di Terre Des Hommes Italia ed alcuni esponenti di East River.

In un clima di attiva cooperazione e dialogo, i delegati dei vari paesi hanno espresso le loro proposte e richieste da portare all’attenzione della comunità internazionale in procinto di riunirsi per il Cop26 di Glasgow, sottolineando la necessità di ascoltare e prendere in considerazione i bisogni dei paesi maggiormente colpiti dall'aggravarsi del cambiamento climatico, in particolare i paesi del continente africano. Unendo i contributi esperienziali e specifici da parte dei rappresentanti paese e i nostri suggerimenti, il documento finale è stato redatto come portavoce della consapevolezza della necessità di dare spazio ai paesi “impoveriti”, ponendoli al centro della strutturazione delle azioni globali in favore del clima. Durante la stesura sono emersi numerosi spunti di riflessione per noi studenti, per i collaboratori al progetto The Last 20 e persino per i rappresentanti dei paesi, tutti accomunati dal bisogno condiviso di agire per salvaguardare il pianeta dagli effetti negativi del cambiamento climatico, specialmente nei territori in cui essi sono maggiormente debilitanti.

La stesura del documento si è rivelata un’opportunità importante per tutti i partecipanti, un momento di incontro all’insegna dello scambio di pareri, opinioni ed esperienze, al di là dell’obiettivo principale del testo: amplificare la voce dei paesi impoveriti e più soggetti al cambiamento climatico, esprimendo richieste e proposte per arginare globalmente il fenomeno. Insieme, partendo dal basso e ascoltando i paesi più fragili, si può davvero cominciare a cambiare il paradigma per riuscire finalmente a costruire un futuro migliore.

Le nostre conclusioni

Sono stati giorni intensi, colmi di esperienze e stimoli. Ogni giorno abbiamo avuto la possibilità di ascoltare interventi di persone di differenti età, di differenti culture, di differenti prospettive. Tutte queste persone sono state in grado di lasciarci qualcosa, talvolta ispirazione e talvolta criticità. Abbiamo toccato con mano i punti critici della cooperazione, scostandoci dalla visione accademica derivante dai nostri studi.

La cooperazione internazionale spesso, nonostante la purezza degli intenti, non riesce più a soddisfare le esigenze di questi Paesi. Terre “impoverite” dagli stessi soggetti che cooperano con loro, creando così un senso di sfiducia e di ostilità. Un astio comprensibile e non giudicabile, ma potenzialmente superabile. Vi è però la necessità di un cambio di prospettiva nel quale l’aiutato possa proporre in prima persona la tipologia di intervento necessario, divenga quindi da oggetto a soggetto. Solo così l’aiuto occidentale può diventare utile ed efficace. Esportare i nostri modelli è risultato fallimentare, come dimostrano gli ultimi interventi della cooperazione internazionale, ma urge la necessità di agire prima che vi sia totale chiusura da parte di questi ultimi paesi.

Questo evento deve essere un punto di partenza, il momento in cui abbiamo capito che è necessario cambiare, senza screditare ciò che è stato fatto precedentemente, ma lasciandoci realmente e profondamente ispirare. Rispondere alla domanda “Come fare?” è forse il compito più difficile, ma l’arma dell’ascolto è il migliore punto di partenza.

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