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Ucraina: il blocco navale che affama il mondo

24 maggio 2022

Ucraina: il blocco navale che affama il mondo

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«Lo sblocco del grano dai porti ucraini può essere una prova di dialogo» tra le due parti del conflitto in corso: lo ha detto il premier Mario Draghi durante il suo incontro con il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. In effetti il rischio di una crisi alimentare causato dall’assenza del grano ucraino sul mercato mondiale a causa della guerra è ben presente. Anche le Nazioni Unite stanno lavorando per cercare di sbloccare le esportazioni agricole dei paesi in guerra, in modo da far arrivare le merci in tanti paesi, soprattutto africani, con l’obiettivo di salvare milioni di persone nei Paesi più poveri. Per approfondire i temi della questione abbiamo intervistato il professor Gabriele Canali, docente di Economia agro-alimentare della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica.

Ma esiste davvero il rischio di una carestia?
«A livello europeo siamo più che autosufficienti per il grano considerato nel suo insieme; siamo deficitari per il grano duro, ma solo perché siamo grandi esportatori di pasta. Non siamo autosufficienti, invece, per il mais e per la soia, che vengono impiegati soprattutto per l’alimentazione animale. Per il grano, tuttavia, si è registrato un forte aumento dei prezzi, che può avere invece effetti dirompenti, soprattutto per i paesi africani e per altri PVS. La criticità nell’accesso agli alimenti può facilmente essere causa di instabilità sociale e politica» «Dobbiamo ricordare sempre che sono soprattutto le fasce di popolazione più povera a soffrire maggiormente l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di base. Questo vale all’interno dei diversi paesi, e a maggior ragione vale a livello globale: è di questo che dobbiamo essere preoccupati. È necessario sbloccare le navi che sono ferme nel Mar Nero e consentire ai paesi in guerra, soprattutto ai magazzini pieni dell’Ucraina, di vendere il grano. Potrebbe essere un primo segnale di diplomazia del cibo; è evidente che la Russia, con il blocco delle navi e dei traffici in quest’area, si sta assumendo anche una grossa responsabilità nei confronti dei paesi destinatari di questi cereali, paesi poveri nei quali l’instabilità può avere effetti dirompenti».

Il fatto che 1 miliardo e 700 milioni di persone rischino povertà, malnutrizione e fame può scatenare un’ondata di disordine e ribellione: sarebbe un’ulteriore grave responsabilità per Putin. Quale soluzione allora, professore, per i paesi strutturalmente dipendenti da questi tipi di alimenti?
«Per cercare di assicurare le risorse necessarie per i paesi dipendenti dalle importazioni si può solo pensare al sostegno e al rafforzamento di progetti di sviluppo a medio lungo e termine. L’Europa ha progetti di sviluppo in diversi paesi, ma può fare molto di più. Nell’ambito di questi progetti, inoltre, è tempo di dedicare maggiore attenzione anche alle produzioni di derrate alimentari destinate alla popolazione locale e non solo alle cosiddette cash crop (caffeè, cacao, the, ecc.). Un approccio strategico più forte in questo senso anche da parte dell’Europa è sicuramente auspicabile, anche se gli effetti non saranno a breve. Nel breve termine, penso si dovrebbe ripensare al tema degli stock strategici di materie prime; già la pandemia ce lo aveva suggerito e ora la guerra ce lo ricorda in modo pesante. La disponibilità di stock di sicurezza potrebbe svolgere un ruolo importante anche a favore di altri paesi in particolare difficoltà».

E quale ruolo potrebbe avere la Cina in questo scenario?
«
La Cina è un grande acquirente di cereali e materie prime agricole sul mercato mondiale e, come tanti altri paesi, sta dunque pagando un prezzo importante a causa dei prezzi schizzati verso l’alto non solo per le risorse energetiche ma anche per le materie prime agricole. Penso che in sede di Nazioni Unite potrebbe essere coinvolta in un tentativo di allentamento del blocco delle vendite di cereali sia per l’Ucraina che per la Russia: è anche nel loro interesse. E ciò, auspicabilmente, potrebbe aprire la strada ad altri passi diplomatici».

Il costo delle materie prime è schizzato verso l’alto, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi per le materie prime alimentari?
«Da un lato si avvicina il tempo del raccolto del frumento, sia tenero che duro, oltre che di orzo e avena. Ciò nel breve potrebbe consentire di allentare la pressione. Tuttavia, i mercati, soprattutto nella loro dinamica finanziaria, potrebbero valutare anche altri segnali decisamente più preoccupanti: il persistere del blocco delle vendite degli stock ucraini potrebbe rendere difficile stoccare le nuove produzioni, che peraltro saranno, in questo paese, decisamente inferiori rispetto alla media e molto difficili da raccogliere in gran parte del territorio, a causa della guerra. Dobbiamo sperare che le produzioni in altre parti del mondo riescano, almeno in parte, a compensare questa riduzione. Anche se sembra che le produzioni in Cina, ad esempio, quest’anno saranno inferiori rispetto alla media. La situazione, quindi, almeno in termini di prezzo, resta ancora molto incerta e perciò preoccupante, per noi europei soprattutto in termini di prezzi, ma per altre parti del mondo anche in termini di disponibilità. Per questo ritengo che sia necessario agire con molta più determinazione e lungimiranza, anche a livello europeo. Tentennare o ritardare interventi, in questa situazione, significa rischiare di non arrivare preparati di fronte alle nuove sfide alimentari».

Un articolo di

Sabrina Cliti

Sabrina Cliti

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