È soffiato di nuovo il vento dell’Asia sulla notte degli Oscar 2023. La premiazione con sette statuette, di cui diverse molto “pesanti” (miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista, ecc.) a Everything Everywhere All At Once ha confermato un trend degli ultimi anni, che avevano visto due anni fa il Nomadland di una regista cinese, e soprattutto la premiazione come Best Picture al coreano Parasite: era stata la prima volta che un film non americano aveva vinto la statuetta più ambita.
Quest’anno abbiamo avuto la prima volta di un’attrice asiatica, la veterana Michelle Yeoh, così come è di origine cinese (parte Hong Kong parte Taiwan) uno dei due registi che si firmano come i Daniels.
Certamente non c’erano né molti né grandi capolavori a contendersi i premi: c’erano film buoni, interessanti, ma nessun vero capolavoro… L’Academy ha confermato il trend ormai ventennale di orientarsi su scelte più da festival, più di nicchia: l’ultimo miglior film con grandissimo successo al box office è stato il terzo Signore degli anelli nel 2003 …Gli Oscar non sono più la celebrazione di film che mettono d’accordo critica e pubblico, grandi opere per tutti che resisteranno negli anni, come Forrest Gump o Il Gladiatore o Titanic o A Beautiful Mind.
Si premia anche (e forse troppo) l’etnia, il gender, l’innovazione per l’innovazione. L’apoteosi di questo è stato qualche anno fa il premio a Moonlight, un piccolissimo film (ma coprodotto dalla società di Brad Pitt) con protagonista un giovane omosessuale nero. E una parte dell’America e dei suoi commentatori dice che ormai gli Oscar hanno perso il contatto con la gente perché sarebbe stato impensabile che i due film che hanno ridato ossigeno all’industria quest’anno, Top Gun Maverick e Avatar (il primo in Usa ha sorprendentemente incassato più del secondo), potessero ottenere qualche premio significativo. Anche la cerimonia stessa negli ultimi anni ha perso una fetta molto rilevante del suo pubblico.
Un dato interessante è che sia Everything sia The Whale, che ha vinto due Oscar, fra cui miglior attore protagonista per Brendan Fraser, erano finanziati e distribuiti da uno “studio” relativamente giovane, A24 (prende il nome dalla nostra autostrada Roma – L’Aquila, transitando la quale uno dei tre fondatori ebbe l’idea di creare la casa di produzione). È lo stesso studio di Moonlight e di un altro film con radice asiatica, il delicato e poetico Minari, che fu candidato all’Oscar nell’anno di Nomadland.
Di Everything è stata premiata molto probabilmente l’innovatività della trama e dello stile, il caleidoscopio di colori e mondi che vengono narrati (divertente quando madre e figlia vivono in un mondo alternativo come pietre, e parlano fra loro con scritte sullo schermo), con uno stile che deve molto al videoclip e al videogioco, anche se l’omaggio al politically correct imperante oggi a Hollywood non manca: la madre interpretata da Michelle Yeoh è sostanzialmente alle prese con l’accettazione dell’omosessualità della figlia.
Se da segnalare è anche l’eccellente risultato sia a livello di nomination che di statuette per il dolente e amaro film tedesco (distribuito da Netflix) Niente di nuovo sul fronte occidentale, che ha poi vinto come miglior film straniero, miglior fotografia e miglior colonna sonora, resta un mesto nulla di fatto per un maestro come Steven Spielberg: il suo The Fabelmans non ha convinto né gli spettatori americani (con un box office incredibilmente basso) né l’Academy, confermando un trend per lui molto difficile negli ultimi anni. Il cinema sta cambiando, il pubblico sta cambiando, l’Academy sta cambiando, o è solo lui che non ha più l’energia e la fantasia di un tempo?