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"Verba Manent", la Storia e il rapporto con le fonti orali

18 settembre 2024

"Verba Manent", la Storia e il rapporto con le fonti orali

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Se i latini avessero avuto a disposizione internet, probabilmente non avrebbero mai concepito e tramandato il noto adagio “Verba volant, scripta manent”. Con la rivoluzione digitale, e soprattutto con l’avvento del web, infatti, la storia orale, quella cioè che utilizza anche le fonti rese oralmente, ha trovato un nuovo interesse nello studio dell’epoca contemporanea. Proprio grazie alla rete, l’oralità ha acquisito un peso determinante nella ricostruzione del passato e anche nel suo racconto. Tuttavia, se da un lato la rivalutazione delle fonti orali a lungo ritenute secondarie dagli storici ha aperto nuove prospettive, dall’altro, ha posto nuovi problemi agli studiosi.

Proprio le opportunità e i rischi nell’affidarsi a testimonianze di questo tipo sono in cima alle preoccupazioni di un gruppo di lavoro coordinato da Maria Bocci, ordinaria di Storia contemporanea, alla Facoltà di Scienze della Formazione della Università Cattolica, che sta conducendo, insieme a docenti di altri atenei, un progetto di ricerca di rilevanza nazionale volto ad accertare l’influenza che in Italia ebbe il dissenso dell’Est Europa, dalla metà degli anni ’60 sino alla caduta del muro di Berlino, attraverso una serie di interviste ai protagonisti. All’inizio del suo percorso, questo team ha voluto organizzare in ateneo, lunedì 16 settembre, un seminario intitolato appunto “Verba manent”, titolo che, oltre a fare il verso al noto proverbio, è anche la citazione di un fondamentale studio pubblicato dagli storici Giovanni Contini e Alfredo Martini e dedicato appunto all’uso delle fonti orali per la storia contemporanea.

Se, infatti, è indubitabile che gli strumenti digitali rendano disponibile per gli storici una mole enorme di materiale, è anche vero che, come ha osservato Daniele Bardelli, associato di Storia contemporanea in Cattolica, «quello che troviamo nel web ha più a che fare con la memoria, che con la storia»,  mentre «solo una ricostruzione scientificamente strutturata del passato permette a una società di ‘ricordare’ in forma il più possibile obiettiva», giungendo «ad una visione se non condivisa almeno discutibile su basi comuni e quindi anche utile al dialogo e alla decisione democratica».

Questa considerazione investe di una responsabilità maggior lo storico, il quale non solo deve verificare l’attendibilità della testimonianza, considerando il particolare punto di vista del testimone, ma deve fare i conti anche con la propria particolare visuale, le proprie conoscenze e idee. Ciò è cruciale nel momento, ad esempio, in cui si trova a produrre lui stesso il documento alla base della sua indagine, come nel caso di una intervista. Quali domande fare? Come riprodurle?  L’Associazione italiana di storia orale (Aiso) ha messo a punto una serie di buone pratiche per la raccolta, il trattamento e l’archiviazione delle fonti orali allo scopo di tutelare, tra gli altri principi, anche la privacy degli intervistati e delle persone terze che esse citano, rispettando le normative oggi vigenti a livello comunitario e italiano. Ma ha fatto notare Chiara Paris, del direttivo dell’Aiso e dottoranda in ricerca alla Università degli Studi di Milano: «ֿla verità è che non esistono delle regole. Una buona intervista di storia orale dipende sempre dal rapporto di fiducia che lo storico riesce ad instaurare con la sua fonte».

Il discorso si fa ancora più complicato quando si vuole poi restituire in forma di racconto orale anche il risultato di una ricerca.

Forse il segreto è non avere segreti: giocare a carte scoperte, come ha lasciato intendere Emmanuel Exitu, autore del podcast, “Le figlie della Repubblica”, pubblicato dal Corriere della Sera. «Quando ho intervistato Stefania Craxi, sempre così intransigente nella difesa del padre, lei ad un certo punto si è sfogata dicendomi: questa non è un’intervista, è una seduta psicanalitica. In quel momento ho capito che avevo finalmente raggiunto l’obiettivo: non stavo semplicemente producendo un racconto avvincente, ma prima di tutto, con lei, in quel momento stavo creando un documento autentico, anche se profondamente personale».

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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