Mutuando un termine sdoganato dal mondo dei social network, si potrebbe affermare che oggi anche i musei devono essere in grado di sviluppare “engagement”. Ossia la capacità di attrarre, coinvolgere e fidelizzare il pubblico, puntando alla partecipazione attiva di cittadini e persone.
Michela Valotti, ricercatrice del Centro di Ricerca per l’Educazione attraverso l’Arte e la mediazione del patrimonio culturale sul territorio e nei musei (CREA), ne è perfettamente consapevole e proprio su questi assunti validati a livello internazionale sta costruendo la linea d’azione per la gestione del Museo Stampatori “da Sabbio”, di cui è stata nominata Coordinatrice del gruppo di lavoro e che sorgerà a Sabbio Chiese (BS) tra la fine del 2024 e il 2025.
Dopo la conclusione del cantiere edile il museo conserverà ed esporrà a turnazione 44 volumi, preziose e antiche Cinquecentine e Seicentine donate da istituzioni pubbliche, imprese e privati cittadini, affiancate da installazioni multimediali sul tema. Nel frattempo ferve “il cantiere delle idee”.
«In linea con la direzione enunciata da Icom alla Conferenza di Praga nel 2022, il museo non dev’essere più autoreferenziale come una torre d’avorio avulsa dal contesto, bensì pensato in base anche al rapporto coi vari pubblici e alla comunità che lo ospita” precisa Michela Valotti. In pratica il museo di oggi è richiesto di essere Community based, prevedere il coinvolgimento attivo della cittadinanza e avere un occhio di riguardo al welfare culturale.
Nel caso Museo stampatori “da Sabbio”, la cittadinanza attiva è rappresentata, oltre dai donatori delle opere, dal gruppo di lavoro composto da venti cittadini sabbiensi (proprio come Valotti, nata bresciana ma sabbiense d’adozione) di età compresa tra i 20 e gli 80 anni. Tra questi anche il professor Alfredo Bonomi, intellettuale e anima di ogni studio storico, artistico e sociale sulla Valsabbia «su input del quale è nata l’idea del museo».
Ma cosa significa essere un Museo community based? «Ha a che fare col soft power - spiega Valotti - con l’idea del bene comune, del fare politica non in senso partitico. I tratti distintivi di questa prospettiva non riguardano solo i capolavori d’arte, ma anche la cultura in generale, materiale ed immateriale, i libri, gli attrezzi agricoli e le storie di personalità.
Nella visione di Valotti e del gruppo da lei coordinato il museo sarà infatti un laboratorio di cittadinanza: un hub in grado di agglomerare e restituire valori come farsi carico della tradizione, della responsabilizzazione collettiva rispetto al patrimonio da tramandare alle generazioni future.
Si sta ragionando nel solco della convenzione di Faro, ratificata in Italia nel convegno di Comunità di eredità – prosegue Valotti. - Ed eredi non si nasce, bensì si diventa».
C’è poi il discorso del welfare culturale, di cui Valotti ha già saggiato l’importanza a partire dal 2016 con la sperimentazione Caffè Alzheimer: l’iniziativa da lei coordinata con la psicologa Sara Avanzini, in cui alcuni pazienti affetti da malattie psichiatriche o degenerative hanno mostrato benefici dopo aver partecipato a laboratori polimaterici al Museo Archeologico di Gavardo, sempre in Valle Sabbia.
Con l’artista Gabriella Goffi gruppi di pazienti selezionati hanno lavorato sui temi di casa, identità, paese. I risultati? Persone afasiche hanno iniziato a parlare, soggetti con Alzheimer hanno mostrato piccoli miglioramenti.
«Sono le cosiddette terapie non farmacologiche di cui anche un documento emanato dall’OMS nel 2019 ha sancito le evidenze scientifiche nei processi di prevenzione, trattamento e cura di determinati disturbi. Ed è anche per questo che un museo deve intraprendere delle azioni trasformative per rispondere alle necessità della comunità che lo ospita. Il master del CREA ha formato oltre 400 educatori dei servizi educativi dei musei anche tenendo conto di questo» conclude Valotti.
(Immagine in alto di Claudio Amadei)