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C’era una volta il Mare Nostrum. Il naufragio della politica estera italiana

06 ottobre 2021

C’era una volta il Mare Nostrum. Il naufragio della politica estera italiana

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Il Mediterraneo è un mare che contiene l’1% dell’acqua del pianeta ma all’interno del quale si sviluppa il 20% dei traffici marittimi mondiali. Basterebbe questo dato per capire quanto sia importante il ruolo di quel Mare Nostrum che ormai non è più di nessuno, men che meno dell’Italia. Un vero e proprio “naufragio geopolitico”.

Da questa immagine sono partiti, nel loro ultimo libro "Naufragio Mediterraneo" (Paesi Edizioni) Michela Mercuri, docente dell’Università “Niccolò Cusano” e Paolo Quercia, direttore della rivista GeoTrade e professore presso l’Università di Perugia che, introdotti dal professor Vittorio Emanuele Parsi, sono stati i protagonisti, lunedì 4 ottobre, del primo appuntamento di ASERIncontra, il ciclo di conferenze promosso dall’Alta Scuola in Economia e Relazioni internazionali dell’Ateneo.

«Insieme al Mediterraneo – ha ricordato Mercuri - abbiamo perso le nostre certezze. Ormai è un'area “liquida” politicamente instabile, senza confini consolidati. Uno scenario in cui ci siamo trovati profondamente disorientati, ben prima delle rivoluzioni della Primavera Araba. E il cambiamento era in atto già dal 2003 con lo scoppio della seconda guerra in Iraq».

«In politica quando si viene a creare uno spazio vuoto – ha spiegato - arriva qualcun altro a riempirlo. È successo anche nel Mediterraneo con Cina, Russia e Turchia che, approfittando del disimpegno di Usa e Italia, si sono inserite. Ankara in particolare ha esteso la sua area di influenza nell’ovest libico al punto che molti osservatori internazionali hanno ormai ribattezzato l’area come Turkistan».

E in tutto questo si sente la mancanza dell’Europa «totalmente scollata, specie sulla gestione dei migranti». Per l’Italia è arrivato il momento di dire basta con la cosiddetta Politica della Sedia che ci riduce a raccogliere le briciole lasciate dalle altre potenze sedute al tavolo. Negli ultimi dieci anni nessuno dei governi – di tutti gli schieramenti – che si sono succeduti ha centrato i problemi del Sud dell’area. Occorre delineare con maggiore responsabilità e maggiori strumenti (come ad esempio un rafforzamento della nostra portualità) una precisa linea politica. Anche perché è chiaro che non tutti hanno i nostri interessi».

Un altro aspetto molto importante, spesso sottovalutato, è che il destino del mare si decide…a terra. Spesso molto lontano dalle coste: «Una cosa che non viene ricordata abbastanza – ha detto Paolo Quercia nel suo intervento – è che i barconi che partono dalla Libia trasportano in gran parte persone che non sono libiche. E gran parte dei morti durante le traversate non sono cittadini dei Paesi del Mediterraneo».

«Premesso che le regioni geopolitiche ‘naturali’ non esistono – ha aggiunto - l’errore è stato nel considerare quest’area come qualcosa di stabile a prescindere. Ma non è così, il mare, a differenza della terra, è un ambiente ostile che non è possibile antropomorfizzare e di conseguenza è molto difficile da controllare».

«Per poter dire la propria in politica estera è necessario avere qualcosa di proprio da mettere sul tavolo. Il Qatar, per fare un esempio, sullo scenario internazionale sfrutta il suo petrolio. Ecco, il “petrolio” dell’Italia è la sua posizione all’interno del Mediterraneo. Dobbiamo impostare una linea chiara, coerente con la nostra storia che è tradizionalmente conciliante e non aggressiva. Perché la politica estera è anche una testimonianza di civiltà. Non dimentichiamo che siamo l’unico Paese che ne ha prodotta non una ma ben due, quella greco-romana e quella rinascimentale».

«Non possiamo aspettare sempre l’Europa anche perché è lei che si aspetta qualcosa da noi, in quell’area l’Europa è l’Italia. È poi importante darsi obiettivi chiari e raggiungibili. Prendiamo per esempio la Libia: chi la controlla tiene in scacco anche il nostro Paese perché ha in mano un’arma “ricattatoria”. Non dimentichiamo che da lì sono arrivati gli unici missili che hanno colpito il nostro territorio nell’era della Guerra Fredda. Ma per farlo occorre investire. Prendiamo per esempio il corpo diplomatico. Nell’area, per fare un esempio significativo, l’Italia ha 25-30 diplomatici. Un numero irrisorio. In Libia ci giochiamo il nostro futuro europeo. La politica estera dell’Unione - ha concluso Quercia -  non è altro che un concerto, coordinato, delle varie politiche nazionali. Il vuoto causato dalla mancanza dell’Italia sulla scena genera problemi anche alla Ue».

Un punto di vista condiviso anche dal professor Parsi: «Serve avere una visione, se non ce l’hai nessuno ti prende in considerazione. E, in questo momento, non si capisce cosa vuole l’Italia. E nel mondo di oggi, che è decisamente più complesso rispetto a quello del passato, questa mancanza è ancora più accentuata».

«Sarebbe molto importante – ha aggiunto il direttore dell’Aseri – intervenire sul peso, eccessivo, dei privati nella politica internazionale. Andrebbe fatto capire a questi soggetti lo svantaggio dell’instabilità e incentivare chi su una determinata area trae profitti, a investire sulla stabilità. La speranza è che il mondo post-pandemico sia più sensibile a determinati temi. Per farlo occorre però superare il dualismo realismo vs sentimentalismo, in politica è necessario avere entrambe le cose».
 



Il prossimo appuntamento con ASERIncontra, "L'Africa che ci sta di fronte. Una storia italiana: dal colonialismo al terzomondismo", è previsto per lunedì 11 ottobre: interverranno la professoressa Leila El Houssi dell'Università La Sapienza di Roma e la professoressa Michela Mercuri dell'Università "Niccolò Cusano". Modera il professor Vittorio Emanuele Parsi, direttore Aseri.

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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