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Calcio, la storia universale in 90 minuti

28 ottobre 2021

Calcio, la storia universale in 90 minuti

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Chi pensa che il calcio sia solo un gioco, probabilmente è uscito deluso percorrendo il vialetto in ghiaia che dal villino dove ha sede l’Alta Scuola di Economia e Relazioni internazionali dell'Università Cattolica si apre tra i tigli fino a via San Vittore. Del resto Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Aseri, lo ha chiarito subito al pubblico presente in aula e via streaming per la presentazione del libro Calcio & geopolitica. Come e perché i Paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici globali. «Il calcio svolge un’importante funzione nella costruzione dell’identità dei rapporti sociali nel mondo contemporaneo – spiega Parsi –, a partire dal suo straordinario successo come sport di massa. Un’affermazione probabilmente legata alla facile comprensione non tanto delle sue regole quanto della bellezza dei gesti tecnici, e alle emozioni collettive che il calcio sa suscitare. Ma è davvero ancora così, per i giovani e i giovanissimi?».

Accanto ai tre autori del libro, Narcìs Pallares-Domenech, Alessio Postiglione e Valerio Mancini, in questo incontro nato da un’idea di Aldo Pigoli per la rassegna AserIncontra c’è Massimo Cosentino, alumnus della Cattolica, ex segretario generale dell’Inter, oggi general manager del Sion nella Super League svizzera. «Leggendo questo libro – racconta Cosentino – con la mente sono tornato a marzo 2020. Ero in trasferta con l’Inter, dovevamo giocare a Torino con la Juventus. A Milano in quei giorni c’era la sensazione di vivere qualcosa di storico. A soli 120 chilometri di distanza, invece, i torinesi erano quasi tutti senza mascherina, con i bimbi in braccio. Siamo arrivati con il pullman della squadra e c’era un sacco di folla. Noi avevamo paura, io avevo paura. Mi ero portato le lenzuola e gli asciugamani da casa, anche perché il presidente Zhang già da gennaio ci parlava di questo misterioso virus. Quando siamo arrivati a Torino non c’era nessuna certezza: si gioca o non si gioca? La sera prima della partita i calciatori parlavano tra loro e non volevano giocare. Ero in una saletta insieme all’amministratore delegato della parte sport e al team manager quando abbiamo ricevuto la telefonata del ministro Roberto Speranza. Era la prima volta che mi capitava una cosa del genere in 15 anni di calcio: ci veniva spiegato che eravamo invitati a disputare la gara, per tenere a bada l’opinione pubblica. Ecco, quando nel libro gli autori parlano di panem et circenses, la prima cosa che mi è venuta in mente è questo episodio accaduto 18 mesi fa».

Il ragionamento del primo dei tre autori, Alessio Postiglione, giornalista e docente, prende piede dalla doppia trasformazione del calcio: da rito collettivo a individuale e da calcio del campanile (pensando a Milano bauscia contro casciavit, per dirla con Gianni Brera) a prodotto internazionale che possa attrarre investitori stranieri. «Il calcio, un po’ come diceva Émile Durkheim, è un fatto sociale – spiega Postiglione –. La stessa costruzione dell’identità nazionale degli stati moderni passa attraverso processi di nazionalizzazione delle masse che utilizzano lo sport come momento fondativo dell’identità nazionale. Tra queste liturgie che favoriscono la nascita dello stato in senso moderno c’è lo sport, e il calcio in particolare. Perché è uno sport straordinariamente appassionante, ma è anche una battaglia simulata per la conquista dello spazio».

Se il calcio è un fatto sociale, i calciatori sono gli eroi moderni. Valerio Mancini, docente e giornalista, racconta che il libro nasce da due grandi passioni, per il calcio e per la geopolitica. E dice: «Pensiamo alla potenza che ha avuto un giocatore come Diego Armando Maradona. Quanto ci avremmo messo in Italia a cambiare il nome a uno stadio? Eppure il giorno dopo la morte di Maradona stavamo già chiamando il San Paolo di Napoli con il suo nuovo nome. Nella vita di Maradona c’è però un altro stadio molto importante, l’Azteca di Città del Messico, dove segnò il gol del siglo dopo quello della mano de Dios. Quest’ultimo fu soprattutto un gol contro Margaret Thatcher, che nel 1982 durante la guerra delle Falkland aveva umiliato l’Argentina affondando la nave General Belgrano, l’incrociatore leggero orgoglio della marina argentina. Ma nel libro raccontiamo anche cosa fu la Democrazia corinthiana. Socrates non era solo un calciatore, era anche un leader politico. E la Democrazia corinthiana in quel contesto rappresentava la leadership contro le dittature, era un movimento ideologico e un modo innovativo di gestire una squadra, riconosciuta in Brasile come una delle azioni più importanti nella lotta contro la dittatura. Oggi, al contrario, la politica è sempre più marketing, e questa trasformazione viene rispecchiata anche nel calcio. Socrates oggi è CR7. Cristiano Ronaldo ci fa intuire l’importanza dei social e dei followers, che oggi contano più dei gol».  

Nel libro emerge anche il rapporto tra le mafie e il narcotraffico e il calcio. Dall’Argentina lo sguardo di Mancini sale verso nord fino in Colombia, dove «Pablo Escobar foraggiò l’Atlético Nacional di Medellín, una squadra allora praticamente sconosciuta, fino a portarla nel 1989 a vincere la Coppa Libertadores, la massima competizione continentale». L’Atlético Nacional sfiorò addirittura la Coppa intercontinentale, e contro il Milan di Arrigo Sacchi fu fermata solamente dal sinistro a giro di Chicco Evani, sul calcio di punizione conquistato da Van Basten al limite dell’area di rigore, nei tempi supplementari.

«C’è un rapporto tra il calcio e la geopolitica? – si chiede il politologo Narcís Pallarès-Domènech – Noi crediamo di sì. Il calcio è l'arte di comprimere la storia universale in 90 minuti, come diceva George Bernard Shaw. In questo caso abbiamo cercato di comprimere la geopolitica in 200 pagine. Ma il calcio ci aiuta, è una bussola per orientarci in quella materia complessa che è la geopolitica: prendiamo una cartina delle Nazioni Unite, vedremo 193 stati più due membri con lo status di osservatore, Città del Vaticano e la Palestina. Se però guardiamo una cartina della Fifa, le squadre nazionali sono 211, e aggiungendo quelle delle federazioni internazionali del calcio indipendente, tra cui la Conifa, arriviamo a 278 squadre che rappresentano uno spazio fisico concreto che abbia una determinazione politica o la voglia di mostrare la sua esistenza tramite il calcio. In questo senso, il calcio rappresenta uno strumento analitico».

Nel libro si parla di economia, demografia, sociologia, antropologia, scienze politiche, storia, relazioni internazionali, diplomazia, intelligence. Tutto ciò gravita intorno al pallone. «E presentarlo nella prestigiosa sede dell’Aseri – chiosa Pallarès-Domènech – per me che sono un analista geopolitico catalano è un grande onore. Mi fa sentire come un giocatore del Barcellona che scende in campo al Meazza, in Champions League».

 

Un articolo di

Francesco Berlucchi

Francesco Berlucchi

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