NEWS | Rimini

Cormac McCarthy, un mondo abitato dal male ma non disertato dalla speranza

20 agosto 2024

Cormac McCarthy, un mondo abitato dal male ma non disertato dalla speranza

Condividi su:

I romanzi di Cormac McCarthy sono per molti un’esperienza assoluta, capace di condurre sulla soglia incandescente del mistero dell’esistenza, non in termini astratti, ma attraverso una lingua aderente alla concretezza della materia e dell’agire degli uomini. Ne hanno parlato, parleranno, martedì 20 agosto alle ore 17, nella giornata inaugurale del Meeting per l'amicizia tra i popoli, il critico Stas’ Gawronski e il direttore della Funzione Comunicazione dell'Università Cattolica Alessandro Zaccuri in un incontro moderato da Martina Saltamacchia (Sala Neri Generali-Cattolica).


Nel sito del Santa Fe Institute, lo scrittore Cormac McCarthy viene definito immortal trustee (“fiduciario immortale”), e non è detto che sia un’esagerazione. Anzitutto per la statura dell’autore, morto nel 2023 poche settimane prima di compiere 90 anni. Nella letteratura statunitense dell’ultimo mezzo secolo McCarthy occupa infatti una posizione unica e per molti aspetti addirittura leggendaria. Fu, per esempio, uno dei pochissimi romanzieri contemporanei a meritarsi l’elogio dell’altrimenti incontentabile Harold Bloom, che si dichiarò entusiasta di Meridiano di sangue (1985). All’epoca McCarthy non era un esordiente, ma di sicuro fu a partire da questo libro che la sua popolarità cominciò a crescere. Prima la “Trilogia della frontiera” (Cavalli selvaggi, 1992; Oltre il confine, 1994; Città della pianura, 1998), poi Non è un paese per vecchi (2005, portato al cinema con successo dai fratelli Coen), infine La strada (2006), che conquistò il premio Pulitzer offrendo una prima, parziale variazione nell’immaginario di McCarthy: al posto delle praterie del West o del deserto tra Stati Uniti e Messico, ecco un desolato paesaggio post-apocalittico, esito di una catastrofe tanto indistinta quanto irreversibile. E proprio lì, in mezzo al disfacimento, un padre continua a vegliare sul figlio, lo protegge e rassicura: noi, gli ripete, portiamo il fuoco.

Il mondo di Cormac McCarthy è così, abitato dal male ma non disertato dalla speranza, che – a ben vedere – è il bene ridotto a mera essenza, irriducibile e tenace a dispetto di ogni avversità. Difficile non pensare a questo autore quando, nella recente Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione, Papa Francesco ricorda che «il lettore non è il destinatario di un messaggio edificante, ma è una persona che viene attivamente sollecitata ad inoltrarsi su un terreno poco stabile dove i confini tra salvezza e perdizione non sono a priori definiti e separati» (n. 29). Sono parole che si adattano in modo particolarmente preciso al dittico composto da Il passeggero e Stella Maris, i due romanzi del 2023 che, rispecchiandosi l’uno nell’altro con magnifico equilibrio compositivo, rappresentano il testamento spirituale e letterario di McCarthy. Il territorio è più che mai instabile, insidiato com’è dallo spettro di un amore assoluto e impossibile. Proprio per questo, ancor più memorabile è il risultato: una grandiosa avventura umana e intellettuale, nel corso della quale i minimi segreti della cultura materiale si intrecciano ai vertiginosi enigmi della fisica quantistica.

La struttura di Il passeggero e Stella Maris deve molto al clima del Santa Fe Institute. Dal 2014 McCarthy si era stabilmente trasferito in questo ente di ricerca interdisciplinare, all’interno del quale lo scrittore era uno dei rarissimi umanisti. Alla compagnia dei colleghi, del resto, aveva sempre preferito quella degli scienziati, che riteneva più vicini a quell’«essenziale» richiamato anche nel tema del Meeting di quest’anno. Lievemente rielaborata rispetto alla traduzione di Maurizia Balmelli, la frase è questa: «Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?». Una domanda apparentemente semplice, ma per formularla occorre convocare discipline differenti, dalla matematica alla filosofia senza trascurare la teologia, che fin dagli esordi ha costituito il rovello nascosto della scrittura di McCarthy.

Non fosse che per questo motivo, dal Meeting del 2024 viene un’importante lezione di metodo, in straordinaria consonanza con l’intuizione originaria dalla quale, più di un secolo fa, è nata l’Università Cattolica del Sacro Cuore: per essere colto nella sua inesauribile semplicità, l’essenziale richiede uno sguardo libero e sfaccettato. La collaborazione tra discipline differenti (non esclusa la teologia, appunto) è una condizione irrinunciabile per avvicinarsi almeno un po’ al nucleo vitale da cui scaturiscono la complessità e la bellezza della realtà. Con un’ulteriore avvertenza, tutt’altro che marginale: il personaggio che nel Passeggero pronuncia l’elogio dell’essenziale è il più imprevedibile e, in apparenza, il più inaffidabile dell’intero romanzo. Ma i pregiudizi, si sa, giocano brutti scherzi. Meglio lasciarsi sorprendere, anche a costo di correre qualche rischio.

Un articolo di

Alessandro Zaccuri

Direttore della Comunicazione - Università Cattolica

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti