NEWS | Eurovision Song Contest 2021

Dietro le canzoni il sogno (irrealizzato) dell’Europa

29 maggio 2021

Dietro le canzoni il sogno (irrealizzato) dell’Europa

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Non chiamatele “solo canzoni”. Dietro la musica pop che, una volta all’anno, a maggio, invade gli schermi televisivi di una quarantina di Paesi dell’Europa mediterranea, scandinava e centro-orientale (con l’aggiunta, dal 2015, anche dell’Australia) c’è il sogno di un’Europa che trova, sul terreno dell’intrattenimento e della cultura popolare, un’occasione di “immaginazione comune”. Così, almeno, “Eurovision Song Contest” è stato pensato nel lontano 1956 quando, nella prima edizione in onda da Lugano, vi parteciparono solo sette Paesi (fra i quali l’Italia).

Le intenzioni “europeiste” erano allora chiare per gli organizzatori: l’Unione europea di radiodiffusione (denominata EBU-UER, nella doppia lingua inglese e francese) aveva in mente – come ha ben raccontato lo storico della Tv Jerome Bourdon nel prezioso volume “Il servizio pubblico. Storia culturale delle televisioni in Europa” (Vita e Pensiero, 2015) – di dare seguito all’intuizione di Jean Monnet: “se si dovesse rifare da capo, comincerei con la cultura”. La cultura – e non solo quella “alta” rappresentata dall’arte o dal teatro, ma anche quella popolare che può incarnarsi in un programma televisivo – è la chimera dell’Europa. A tanti anni di distanza, con l’effettiva realizzazione di un’Unione economica, la cultura comune è ancora distante (nonostante le ormai diverse “generazioni Erasmus”).

Ma l’idea originaria di “Eurovision” resta oggi valida. La televisione, pur in un quadro comune europeo che continua a difendere il modello del servizio pubblico in un contesto di sovrabbondanza digitale di reti e programmi, si è poi sviluppata quasi esclusivamente a livello nazionale. I progetti di canali europei di informazione (EuroNews), di sport (EuroSport) o di arte (Arté) non sono mai veramente decollati, e gli unici esemplari di “contenuti europei” sono l’ormai dimenticato Jeux sans frontières (1965-1999) e, appunto “Eurovision Song Contest”, il talent sovrannazionale di canzoni e cantanti.

A guardarlo oggi però Eurovision sembra aver messo un po’ da parte la sua anima europeista: come nota Bourdon, il numero dei Paesi partecipanti è andato oltre l’originario nucleo che corrispondeva, grossomodo, all’Unione Europea (e include oggi, per esempio, l’Australia, in quanto Paese con una forte tradizione di public service broadcasting), e la popolarità di Eurovision è molto diversificata di Paese in Paese.

L’Italia sembra essersi dimenticata di Eurovision per molti anni, almeno fino agli anni più recenti. La vittoria di Toto Cutugno nel 1990 (con la canzone “Insieme: 1992”) e la disastrosa organizzazione dell’Eurofestival nel 1992 a Cinecittà, ha messo per diversi anni la manifestazione nel dimenticatoio. E’ un’ Italia televisiva che vive, e si accontenta, del suo Festival nazionale in Riviera.

Le cose sono iniziate a cambiare solo negli ultimi anni. Anche in Italia, come nei Paesi in cui il Festival è più popolare (il Nord Europa, Gran Bretagna e Svezia, ma anche Israele e la Turchia), si è assistito a una progressiva riscoperta. Che ci porta probabilmente fino ad oggi, con la bella vittoria dei Måneskin (che, ricordiamolo, sono in primo luogo figli di un talent come “X Factor”, più che del Festival di Sanremo).

L’ultima edizione di “Eurovision Song Contest”, che segna il ritorno della manifestazione dopo la pausa forzata della competizione a causa della pandemia di Sars-Cov-2 nel 2020, è anche quella più vista nella storia nazionale recente dell’Eurofestival. La messa in onda, prima confinata su Rai2, ha riconquistato – almeno per la serata Finale – il prime time di Rai1, e ha raccolto quattro milioni e mezzo di spettatori medi (e un ottimo 25% di share). Quel che colpisce di questo risultato è che l’edizione dei Måneskin sia stata letteralmente riscoperta da un pubblico giovane, dalle generazioni nate negli anni Novanta e Duemila. Il dato di share migliore riguarda infatti gli spettatori con età comprese fra 15 e 24 anni (43% di share, quasi uno su due). E non è un caso che questa sia anche stata l’edizione più discussa e condivisa sui social media (3,5 milioni di interazioni hanno riguardato, in pochi giorni, Eurovision su Facebook, Instagram e Twitter). Forse le intenzioni paneuropee di Eurovision sono un po’ sbiadite, ma nel segno di generazioni che riscoprono la music pop (e lo spettacolo) “made in Europe”, ritroviamo forse qualche passo avanti fatto, appunto, nel corso degli ultimi decenni, dalle “generazioni Erasmus” che frequentano le Università.

Un articolo di

Massimo Scaglioni

Massimo Scaglioni

Direttore del Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi (Ce.R.T.A.) - Università Cattolica

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