«Due voci che usano principalmente, anche se non esclusivamente, linguaggi diversi: della carta stampa e vocato all’approfondimento lui, televisivo e forte dell’impatto delle immagini lei» li ha introdotti Gerolamo Fazzini, giornalista, scrittore e autore televisivo, docente di Media e Informazione al Dams.
A far da teatro alla guerra attuale è un contesto di generale disinformazione che complica la vita di tutti quanti. Dei giornalisti - chiamati a raccontare la verità dei fatti - e dei cittadini, destinatari delle notizie.
Eppure, se abbinati ai tradizionali strumenti di verifica del giornalismo (andare sul campo, vedere coi propri occhi e raccontare), Twitter e Facebook possono fare la differenza.
Lo racconta l'inviata Tg1, appena tornata dal fronte russo-ucraino. «Mentre cercavamo di varcare il confine senza riuscirci, scrollando i social ho notato la foto di quella che sembrava una fossa comune. Ho inserito le coordinate nell’applicazione Maps e siamo giunti in un piccolo villaggio alle porte di Kiev dove, grazie al racconto di una singora del posto, abbiamo scoperto che dei russi ubriachi avevano sparato a caso sui civili, uccidendo e ferendone alcuni (tra cui suo marito). La fossa era stata scavata dagli abitanti del posto per seppellire i morti e scongiurare il degenerare della situazione sanitaria».
Il metodo è infatti quello di «raccontare le piccole storie di quotidianità che vediamo, che riflettono ed esemplificano la grande Storia in atto» spiega Biroslavo.
Per farlo è fondamentale la qualità delle fonti. E per trovare fonti attendibili e muoversi lungo le strade servono i cosiddetti fixer, spesso giornalisti o abitanti locali.
«Molto più che interpreti, ti aprono i contatti per arrivare al fronte e trovare le fonti primarie. I migliori sono quelli che riescono ad interpretare ciò che l’interlocutore non vuole dire in modo chiaro. Spesso mi hanno aiutato a non cadere nella trappola propagandistica» precisa Biloslavo.
Già, perché se buoni e cattivi non sono mai divisi in maniera salomonica, il lavoro del giornalista è anche «raccontare che il mondo non è bianco o nero, che i crimini di guerra li commettono anche i buoni».
Da qui l’importanza riscontrata anche da Battistini: «serve coniugare la necessità di relazionarsi con le fonti ma anche verificare sempre. Per esperienza diretta, se il fixer non è attendibile o è psicologicamente provato, cosa non rara considerato il contesto, il rischio è di non arrivare alla notizia».