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Giornalismo sotto copertura, la lezione di James Kleinfeld

15 maggio 2023

Giornalismo sotto copertura, la lezione di James Kleinfeld

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Alla domanda “Quante volte cerchi il tuo nome su Google?”, James Kleinfeld si mette a ridere e risponde: «Non ho bisogno di googlarmi. Ci pensa Google Alert a mandarmi un messaggio ogni volta che vengo citato. E comunque online c’è solo una mia foto». Ha studiato letteratura francese a Oxford, durante l’Erasmus a Parigi nel 2016 ha prodotto un documentario sul movimento Je ne suis pas Charlie in seguito all’attentato nel gennaio 2015: «Da studente potevo considerarmi un attivista».
 


Poi una volta tornato nel Regno Unito, si è laureato ed è stato reclutato da Al Jazeera Investigate Unit, la sezione investigativa della rete televisiva qatariota, per lavorare come giornalista in incognito al progetto “The Lobby Usa”, pubblicato nel 2018 sotto forma di serie, che rivela alcune verità scomode sull’influenza del governo israeliano nella vita politica americana e inglese. Nel giro di un weekend due persone lo avevano segnalato perché corrispondeva perfettamente alle richieste molto specifiche dei recruiter di Al Jazeera: giovane, ebreo, con una buona conoscenza della situazione israelo-palestinese, poco presente sui social. «Oggi è molto difficile trovare qualcuno che non abbia postato almeno una sua foto da qualche parte. Ma ci sono modi e modi. Si può condividere tutta la vita oppure decidere di tenere il proprio profilo privato».



Le scoperte più interessanti possono arrivare in diversi modi: «Leggendo, guardando film e documentari su argomenti che ci interessano davvero e di cui ci stiamo già occupando». Da lì Kleinfeld consiglia di fissare Google Alert in modo da ricevere una notifica ogni volta che si parla di quella cosa. «La nostra unità investigativa ha anche un servizio dove le persone possono lasciare dei commenti o dei suggerimenti e c’è qualcuno che legge tutto quello che ci viene scritto. Consiglio anche di tenere pubblico il proprio indirizzo mail così che gli altri possano contattarvi».

Per capire se un’intuizione può diventare un’inchiesta consistente bisogna pensare a quali conseguenze potrebbe avere quella storia, se coinvolge l’opinione e l’interesse pubblici. «Dobbiamo puntare il più in alto possibile. Prima di sottoporgli una proposta, il mio capo mi chiede se ha un impatto su un ministro, un capo di Stato o un amministratore delegato. Se non lo fa, devo lavorarci finché non raggiunge quel livello». Quando la storia diventa inchiesta e si passa a investigare ci sono quattro elementi fondamentali da tenere in considerazione: le testimonianze dei whistleblower, ovvero coloro che decidono di denunciare degli illeciti e che diventano quindi testimoni, documenti ufficiali e riservati divulgati, riprese sotto copertura e poi open source, cioè dati pubblici che si possono trovare liberamente su internet.

Uno dei temi che stanno a cuore a Kleinfeld è la salute mentale dei giornalisti che lavorano in incognito. Ancora troppo spesso, non viene presa seriamente e si pagano le conseguenze di inchieste passate. «Dopo aver trascorso cinque mesi sotto copertura - per il documentario “The Lobby” - soffrivo di mal testa lancinanti e vivevo nella paranoia. C’è un equilibrio da raggiungere tra la segretezza di ciò che facciamo e la necessità di proteggere le fonti per mantenere le cose riservate. A volte abbiamo bisogno di parlare con dei confidenti: membri della famiglia, amici, persino psicologi. Poi spesso lavoriamo seduti davanti a un computer per settimane e quindi dobbiamo staccare, fare attività fisica. Non solo per rimanere in forma, ma diventa utile anche per prendere delle decisioni».

Il gruppo investigativo di Al Jazeera è molto eterogeneo. Ci sono diverse basi operative divise fra Londra, Doha dove rispettivamente ci lavorano circa dodici persone, poi a Washington DC e New York ci sono altre due sedi. «Collaborano con noi altri 7-8 freelance e poi ci sono tutti gli operatori che si occupano della parte video», ma capita anche che alcuni ruoli si sovrappongano per compensare.

Ma come ricorda Kleinfeld: «Il giornalismo investigativo richiede una buona dose di scetticismo, astuzia a sufficienza e un minimo di abilità letteraria».

Sul sito jameskleinfeld.com si possono trovare tutti i suoi lavori.

Un articolo di

Federica Farina

Scuola di giornalismo

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