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Giusti tra le nazioni: luci contro la tenebra del genocidio

26 gennaio 2022

Giusti tra le nazioni: luci contro la tenebra del genocidio

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Nei periodi più bui della Storia ci sono stati piccoli punti luminosi che hanno evitato al genere umano di sprofondare nel baratro del male. È la luce dei Giusti tra le nazioni, che scelsero il bene quando tutto attorno a loro diceva il contrario. Il quarto appuntamento di “Sfide per il futuro”, il ciclo di conversazioni realizzato da Associazione Genesi e Università Cattolica del Sacro Cuore per Progetto Genesi, è stato dedicato a loro.

Il dialogo tra i docenti dell’Ateneo Claudia Mazzucato e Riccardo Redaelli con il presidente della onlus milanese Gariwo Gabriele Nissim è iniziato sgombrando il campo da ogni ombra di dubbio: i giusti non sono santi o eroi inarrivabili. Sono come noi: «Vaclav Havel diceva che ogni essere umano può esercitare un potere personale e diventare argine nel confronto del male -ha sottolineato Nissim-, i Giusti mostrano che i genocidi non sono eventi naturali incontrastabili ma che sono commessi dall’uomo. Essi sono una espressione della libertà umana».

Il termine genocidio prima della Shoah non esisteva. È stato coniato dal giurista polacco di origini ebree Raphael Lemkin del 1944 dopo che lo stesso si era interessato allo sterminio degli Armeni da parte della Turchia. Questa parola diventerà una delle basi giuridiche per il processo di Norimberga. Per Nissim Lembkin intuì per primo la questione della responsabilità morale delle nostre azioni nei confronti dei popoli ma fu un altro magistrato, sempre polacco, a far compiere alla categoria dei Giusti il vero salto di qualità: Moshe Bejski. Il giurista sopravvisse all’Olocausto grazie a Oskar Schindler e alla sua celeberrima lista e dopo la guerra si prodigò per far conoscere al mondo la storia del suo benefattore e di coloro che aiutarono la sua gente a salvarsi dalla persecuzione. Tutto questo però senza mitizzarli, ma restituendo l’idea di un bene imperfetto, a portata di tutti gli esseri umani. È il miglior antidoto per il peggiore dei mali che l’uomo può commettere: provare a distruggere sé stesso.

I Giusti non sono santi. Basta ripercorrere la storia di Dimitar Peshev, il vice presidente della Bulgaria che prima promulgò le leggi razziali nel suo paese e poi costrinse lo Stato a mettersi contro i nazisti quando un suo compagno di classe ebreo gli raccontò cosa stava succedendo ai suoi familiari. Fece il bene perché si era reso conto che “il male fatto agli ebrei si sarebbe ritorto contro i Bulgari stessi”. E qui Nissim tocca il pensiero della politologa Hannah Arendt, che riprese Socrate quando definì i Giusti “persone che vogliono fare del bene per non fare del male innanzitutto a loro stessi”. Anche il giornalista ebreo Vasilij Grossman riflesse sulla definizione di Giusto, dichiarando di non credere nel bene quanto nella bontà umana: la capacità di distanziarsi dalle ideologie del proprio tempo.

Così Nissim si riaggancia all’attualità: «I totalitarismi di allora vissero sulla base di fantasie ideologiche e oggi ci sono persone che credono a teorie del complotto e altre idee fantasiose che ugualmente fanno venire meno la nostra responsabilità verso il genere umano. Spesso noi invece parliamo solo di diritti». Per Nissim i Giusti sono coloro che si sono presi una responsabilità, coloro che non si sono voltati dall’altra parte sbugiardando la visione deterministica del mondo secondo cui le cose capitano perché dipende dagli altri.

Gariwo pianta le foreste dei Giusti in giro: ce n’è una a Milano, al Monte Stella, e in tanti altri luoghi del mondo. Qui si trovano benefattori degli Armeni, degli Ebrei e di tanti altri popoli vittime di genocidio. Per Nissim «La Giornata della Memoria è dedicata alla Shoah ma credo che la memoria debba essere inclusiva per evitare concorrenza tra vittime. Un’altra funzione delle Foreste dei Giusti è quella della prevenzione: per evitare altri genocidi l’unica via è trasformare questa Memoria in un valore oggi. Se essa non si lega al presente diventa parziale. L’educazione non deve fermarsi al racconto storico ma la Storia va avanti e siamo noi responsabili oggi per la direzione che prenderà».

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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