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Guardare “Servo del popolo” per capire l’eroe Zelensky

14 marzo 2022

Guardare “Servo del popolo” per capire l’eroe Zelensky

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Se dovessimo giudicare l’aspetto narrativo, lo storytelling, ci troveremmo in difficoltà nel riconoscere il vero dal verosimile, e soprattutto faremmo fatica a decidere quale delle due storie sia più rocambolesca, e quale più efficace per un film o una serie. Script numero uno: un giovane insegnante di Storia, assai poco considerato dai genitori, dai propri allievi e dai colleghi, finisce per sbaglio a vivere i suoi pochi minuti di celebrità, grazie a un video-sfogo che approda su internet e raccoglie otto milioni di like. Lo sfogo pare un generico ma sincero appello all’onestà, una delle classiche lamentazioni dell’uomo comune che hanno fatto la fortuna di partiti e movimenti politici, anche in Italia, e che etichetteremmo col cartellino di “populismo” (quel che abbiamo conosciuto così bene, in questi anni).

Senonché l’appello sincero dell’uomo comune riesce a fare breccia nel cuore di una popolazione strozzata da un’economia che stenta a decollare, da disuguaglianze e ingiustizie crescenti e da un ceto di oligarchi locali che sembrano tenere cinicamente in pugno il Paese, fra sotterfugi e ladrocini. E così, l’ignoto professore di storia che parla nel sonno con Plutarco diventa non solo una celebrità ma, grazie a un crowdfunding organizzato online dai suoi stessi studenti, trasformatisi in sostenitori, finisce per conquistare la carica di Presidente della repubblica. Script numero due: un giovane ma già affermato attore comico, protagonista di una comedy seriale che si è rivelata un must-see nel Paese, decide di presentarsi alle elezioni presidenziali e, sull’onda del successo della serie, finisce per conquistare davvero la carica di Presidente della repubblica. Qualche anno più tardi, il comico-presidente si trasforma in eroe per caso di un’insensata guerra scatenata dall’aggressione armata del Paese, assurgendo a simbolo della resistenza davanti al suo popolo, e al mondo intero.

Le due storie sono fra di loro strettamente intrecciate. La prima, però, è tratta veramente da uno script, è la narrazione sviluppata nelle tre stagioni – 51 episodi – di Слуга народу, ovvero Servant of the People/Servo del popolo, una serie distribuita dal canale ucraino 1-1 dal 2015 al 2019. Il secondo racconto sfuma nella tragica cronaca di questi giorni, con l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, la resistenza delle città bombardate, gli orrori che sembrano renderci impossibile, in queste cupe giornate di marzo, qualunque occasione di sorriso. L’elemento in comune alle due narrazioni è ovviamente il protagonista, lo stesso per entrambe le storie: il comico-eroe Volodymyr Zelenskyy, che tutti abbiamo imparato a conoscere attraverso i suoi video che costantemente fluiscono, in questi giorni di guerra, da Instagram e dai social media.

La serie di cui è stato protagonista per tre anni - dopo un successo mediale raggiunto, dall’inizio degli anni Duemila, grazie a una densa carriera artistica cominciata con la stand up comedy e persino la vittoria nell’edizione ucraina di Dancing with the Stars/Ballando con le stelle – si intitola appunto Servant of the people: è stata da pochi giorni acquisita e trasmessa dal canale britannico Channel4, oltre che, per alcuni Paesi, da Netflix, ed è visibile in larga parte su YouTube (sebbene con sottotitoli a volte in russo e a volte in inglese). È una serie unica nella storia dei media: è il solo show di finzione che si è tramutato, quasi letteralmente in realtà (ad eccezione, ovviamente, dell’epilogo tragico della guerra). Infatti, il Presidente finzionale Vasyl Petrovych Goloborodko, interpretato dal volto popolarissimo di Zelenskyy, si è trasformato in Presidente reale dell’Ucraina, grazie al 73% di voti raccolti al ballottaggio contro il candidato e avversario Petro Poroshenko.

In questi giorni di guerra, la curiosa e rocambolesca vicenda di Zelenskyy, presidente ed eroe quasi per caso, ha attirato giustamente l’attenzione dei media globali, che si sono per lo più limitati a etichettare l’uomo come “l’ex comico” dimostratosi più serio e capace di quanto non ci si potesse aspettare. C’è forse qui la stessa sottovalutazione che ha spinto Vladimir Putin a pensare che il commediante si sarebbe arreso e che il Paese si sarebbe liquefatto in pochi giorni. Ma, come stiamo vedendo in questi giorni e settimane, le cose stanno andando diversamente. E forse anche guardare la serie che ha reso Zelenskyy così famoso fra gli ucraini aiuta ad avere un quadro più completo della situazione.

Servant of the people è una serie comedy (non una sit-com, come si continua maldestramente a ripetere) che avrebbe potuto tranquillamente trovare spazio nei nostri scaffali virtuali di Netflix. È vero che è piena di riferimenti alla situazione ucraina (e nel primo episodio troviamo già un joke proprio su Putin), ma ha, al contempo, quell’universalità di un certo humour che è ben comprensibile a ogni latitudine, o almeno in Occidente. Un po’ come accadeva ai tempi dell’altrettanto popolare show comico di Zelenskyy (intitolato Vecherniy Kvartal/Evening Quarter, che a noi potrebbe ricordare qualcosa come Fratelli di Crozza, ma che si ispira in realtà al modello altissimo della comicità dei Monty Python), anche Servant of the people è una satira politica in forma di commedia scripted.

I modelli per la sua trama sono molteplici, a testimonianza della grande competenza mediale di chi l’ha scritta (cioè lo stesso Zelenskyy): si va dalla commedia, per esempio con Dave (Presidente per un giorno, di Ivan Reitman), nel quale Kevin Kline interpreta un uomo comune finito, sempre per puro caso, a “impersonare” il Presidente degli Stati Uniti, per arrivare al ricco filone delle serie political contemporanee. In fondo Servant of the People è in bilico fra The West Wing di Aaron Sorkin, che ci proietta nei meccanismi e nei retroscena della Casa Bianca ritagliando alla politica uno spazio di utopistico idealismo, e House of Cards, creata da Beau Willimon e, prima di lui, da Michael Dobbs, dove invece la politica americana è l’inferno dei sotterfugi machiavellici, e persino dei misfatti. Ecco, "Servant of the People", con l’uomo comune che diventa Presidente e riesce a smascherare le nefandezze dei potenti e degli oligarchi e sposa un’idea della politica come uno spazio alto di azione (“agirò sapendo di poter sempre guardare negli occhi i miei ragazzi e i miei genitori”, dice il presidente Goloborodko durante l’Inauguration del suo mandato), sta più dalla parte di West Wing, oppure potrebbe essere il rovesciamento di House of Cards.

Ma l’aspetto più interessante della serie è che è terribilmente divertente, e ci strappa continuamente sorrisi e risate (anche in questo momento in cui pare difficile). Come ha fatto notare la critica premio Pulitzer del New York Times Emily Nussbaum alcune delle parti più divertenti sono le stranezze narrative “à la Ryan Murphy”, e in particolare le scene oniriche. Quando il presidente Goloborodko deve preparare il discorso di insediamento, il suo staff gli prepara un testo che non può che risuonare familiare all’insegnante di storia: è il discorso di Gettysburg di Abraham Lincoln, che compare in sogno allo stesso Goloborodko/Zelenskyy, e lo esorta, invece, a “essere sé stesso”. Ecco, qui ci si può fare un’idea di quali siano i riferimenti culturali di Zelensky, e il fatto che l’ampia audience ucraina della serie abbia potuto cogliere e apprezzare il joke (compreso il parallelismo fra slavery e sottomissione economica di un popolo oppresso dalla corruzione e dalle disuguaglianze) ci spiega forse anche perché lo spirito ucraino si senta ormai ancorato all’Occidente più che alle autocrazie dell’Est.

Il personaggio dello sconosciuto e negletto professore di Storia (l’importanza della Storia in tutta questa tragica vicenda, quella reale, è un altro tema centrale) che diventa il beneamato presidente in grado di cambiare almeno un po’ le cose rievoca probabilmente altri eroi/anti-eroi della narrativa popolare e mediale. Giustamente Andrea Minuz, sul Foglio, ha ricordato che Zelenskyy ci riporta più ai comici dello straordinario "To be or not to be/Vogliamo vivere" di Ernst Lubitsch che non al protagonista dell’idealistico "The Great Dicatator/Il grande dittatore" di Charlie Chaplin, entrambi impegnati, fra il 1940 e il 1942, a sbeffeggiare l’ancora fortissimo Adolf Hitler di allora. In Lubitsch non c’è affatto lo sbeffeggio della Resistenza polacca al nazismo (accusa formulata allora), al contrario c’è la consapevolezza che anche lo humour e la satira sono elementi imprescindibili dell’uomo democratico, e il bersaglio numero uno di dittatori e autocrati d’ogni sorta.

C’è ovviamente un filo rosso che collega Chaplin, Lubitsch e arriva fino Zelenskyy: quest’ultimo è stato definito da The Atlantic “a jewish hero”, un “eroe ebreo”. Forse in maniera non pienamente consapevole, ma il personaggio narrato da Servant of the People è forse un moderno esemplare dello schlemiel che, nell’ora più buia, sa trasformarsi in eroe. Come facevano gli attori di Lubistch che sbeffeggiavano Adolf Hitler per ricondurlo alla sua pochezza, alla banalità del male. E così ecco un ebreo-outsider che diventa presidente e guida la resistenza al potente invasore.

Non so se la Storia si ripeta. Certamente le storie e le narrazioni lo fanno continuamente, e se questa non fosse una tragica realtà che sta mietendo così tante vittime, potremmo certamente osservare la forza straordinaria di questo script: un protagonista giovane, certamente e inaspettatamente coraggioso, protagonista dei social media declinati a strumenti politici innovativi, costantemente e pervicacemente visibile nei video girati nel palazzo presidenziale e persino fra le strade di Kiev sotto le bombe, che parla senza dubbio direttamente alla nostra identità di occidentali, di democratici, di europei, di uomini e donne del XXI secolo. E un antagonista (Putin) che pare venire da un altro secolo, dal secolo breve di due guerre mondiali sanguinose e terribili, chiuso in qualche bunker chissà dove, ma onnipresente in tv dentro video che paiono però tutti posati, editati, artificiosamente costruiti. Il piccolo comico ebreo che resiste, e l’uomo senza qualità, l’ex spia che si crede zar di un impero sepolto dalla Storia un secolo fa. Questa storia sullo schermo non potrebbe farci esitare un momento sulla parte che è la nostra, quella dell’Occidente e dei suoi valori, satira e umorismo compresi.

Un articolo di

Massimo Scaglioni

Massimo Scaglioni

Docente di Storia dei media e Direttore del Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi (Ce.R.T.A.) - Università Cattolica

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