Un’Aula Magna gremita di studenti per ascoltare e capire. Questa forse l’immagine più emblematica dell’incontro sulla crisi russo-ucraina con i docenti delle discipline internazionalistiche della Facoltà di Scienze politiche e sociali. Una partecipazione che rende l’idea della grande attenzione e preoccupazione con cui i giovani stanno vivendo questi drammatici giorni in cui la guerra è tornata a fare il ritorno in Europa. Un evento, quello di mercoledì 9 marzo, promosso e voluto proprio da loro, dagli studenti dell’Università Cattolica.
L’incontro, moderato dal preside della Facoltà Guido Merzoni e coordinato dal direttore del Dipartimento di Scienze politiche Damiano Palano, è stato aperto dal professor Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta scuola di Economia e relazioni internazionali (ASERI).
«C’è una guerra con un aggressore e un aggredito, questo deve essere molto chiaro. Il problema di rifornire militarmente l’Ucraina pone, comprensibilmente, un problema etico ma è opportuno ricordare che se durante la Seconda Guerra mondiale gli Usa per due anni non avessero rifornito di armi il Regno Unito avremmo avuto molti meno morti ma anche un’Europa nazista. Una comoda via d’uscita non c’è».
«La via politica – ha aggiunto Parsi – in ogni caso non può premiare l’aggressore. La forza della legge deve prevalere su quella del più forte. Un’opzione possibile potrebbe essere quella della “finlandizzazione” dell’Ucraina rievocando il trattamento particolare, unico, che Stalin concesse alla Finlandia. Che tuttavia non fu una concessione che cadde dal cielo ma frutto della feroce resistenza dei finlandesi in quella passata alla storia come “Battaglia di inverno”. Questa ipotesi premia il coraggio dell’aggredito, placa i timori dell’aggressore e consente la stabilità dell’area. Ma in ogni caso qualsiasi decisione dovrà coinvolgere il popolo ucraino, la loro libertà non è nella nostra disponibilità, né in quella di Putin né di nessun altro. La loro libertà vale quanto la nostra».
Ma come si è arrivati a questa crisi? Le cause, come spesso accade, vanno cercate molto lontano come ha ricordato Mireno Berrettini, docente di Storia delle relazioni internazionali: «In questa guerra, è evidente, c’è un aggressore e un aggredito ma è pur vero, anche se è brutto dirlo, che in una prospettiva storica, non c’è un solo colpevole e non sono tutti innocenti».
Berrettini ha focalizzato il suo intervento sulla mancata costruzione di un sistema di sicurezza interamente europeo e sull’isolamento della Russia. «Dopo la Conferenza di pace di Parigi del 1919, che estromise l’Impero Russo e quello Asburgico dallo scenario internazionale – ha spiegato – si venne a creare una grande faglia, quella che Clemenceau definì “cordone sanitario di ferro”. Da quel momento abbiamo “perso” la Russia nonostante qualche eccezione e alcuni tentativi che però furono più che altro degli avvicinamenti tattici e contingenti. Uno di questi tentativi avvenne al termine della Seconda Guerra Mondiale quando i grandi architetti del nuovo sistema mondiale avrebbero voluto includere la Russia sovietica ma lo sviluppo, a partire dal 1948, della Guerra Fredda impedì questo sviluppo. Stesso discorso nel 1989 quando con l’avvento di Gorbaciov la situazione sembrò cambiare ma dopo il disgregamento dell’Unione Sovietica gli Usa rielaborarono la propria posizione e si perse anche questa occasione».
«Successivamente – ha concluso Berrettini - europei e statunitensi si sono sempre misurati in maniera ambigua con la Russia impedendo il completamento di un processo di transizione che provocherà l’implosione dell’ex Jugoslavia. E proprio per evitare una balcanizzazione della Russia e favorirne la stabilizzazione che Bill Clinton vide di buon occhio l’ascesa al potere di Putin dopo l’uscita di scena di Eltsin».
Un altro tema centrale di questo conflitto sono le sue ripercussioni sull’economia mondiale e la spinosa questione delle sanzioni. Aspetti analizzati nel suo intervento da Emilio Colombo, docente di Economia internazionale. «L’Ucraina è un paese molto ricco che detiene il 5% delle risorse minerarie globali, gran parte delle quali concentrate proprio nel conteso Donbass dove il conflitto è in corso dal 2014. Questa è sicuramente una guerra dove la componente economica è sicuramente centrale».
«È impossibile nel mondo globalizzato di oggi – ha poi aggiunto Colombo in merito alle sanzioni - isolare completamente un Paese, ma se si agisce in modo coeso le sanzioni possono essere efficaci. La Svizzera, per esempio, non aveva mai, prima d’ora, emesso sanzioni finanziarie. Non va dimenticato però che fisiologicamente queste possono funzionare solo nel breve periodo, uno o due anni al massimo».
Un ruolo molto importante potrebbe essere svolto dal Vaticano. «Dalla definizione di “inutile strage” di Benedetto XV alle più recenti condanne di Papa Francesco - ha ricordato Simona Beretta, direttrice del Centro di Ateneo per la Dottrina sociale della Chiesa – i pontefici hanno sempre condannato la guerra in modo chiaro e inequivocabile. La Chiesa è una presenza costante, talvolta discreta, altre manifesta, di costruzione della pace. Per quanto riguardo questo conflitto tornano di attualità le parole di Giovanni Paolo II che in riferimento a oriente e occidente, ricordava che l'Europa ha un respiro a due polmoni, senza uno dei due ha il fiato corto».
Il ruolo della Cina, la delicata situazione dei paesi baltici, l’adesione dell’Ucraina all’Ue…tante le domande degli studenti ai loro prof. Su quest’ultimo punto ha provato a chiarire i dubbi Andrea Santini, docente di Diritto dell’Unione europea: Non è un processo breve ma penso che si possa accelerare, anche come segno politico, lo status di “Paese candidato”, oltre a questo credo non penso si possa derogare. Ingresso dell’Ucraina e degli altri Paesi che ne hanno fatto richiesta (Albania, Macedonia del Nord, Serbia, Montenegro, Turchia) aumenterebbe ulteriormente eterogeneità dell’Unione che andrebbe a questo punto ripensata e ristrutturata magari seguendo la cosiddetta teoria dei “cerchi concentrici”».