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I diritti degli anziani sono i diritti di tutti

25 settembre 2021

I diritti degli anziani sono i diritti di tutti

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Nella mattina del 25 settembre S. E. Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e della Commissione per la riforma della assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana del Ministero della Salute, ha tenuto una lectio magistralis nel seminario dal titolo “L’assistenza agli anziani tra diritti e doveri della comunità”, promosso dall’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari – Facoltà di Economia dell’Università Cattolica nel campus di Roma.

L’incontro è stato aperto dal saluto del professor Americo Cicchetti, Ordinario di Organizzazione Aziendale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica e direttore dell’ALTEMS, e introdotto dal professor Vincenzo Antonelli, docente di Diritto Amministrativo alla Facoltà di Economia e direttore del Corso di perfezionamento in Terzo settore e sanità dell’ALTEMS. Nel corso dell'evento è intervenuto Giuseppe Maria Milanese presidente Confcooperative Sanità.

Abbiamo raccolto in un’intervista a margine dell’evento i temi principali della lezione.

Eccellenza, quali problemi ha fatto emergere la pandemia da Covid-19, che ha colpito gravemente le persone anziane, nell’assistenza ai più fragili e ai non autosufficienti?
«La riorganizzazione dell’assistenza sanitaria è motivata proprio dai problemi che il Covid-19 ha fatto emergere: carenze nell’assistenza sanitaria agli anziani che sono morti a migliaia, quindi scarsa capacità di protezione da parte del “sistema”, poi isolamento dalle famiglie e dagli affetti. Noi abbiamo il compito di far vedere all’intera società, e quindi anche ai più giovani, che invecchiare non è una tragedia. Avere 20 o 30 anni di vita in più, grazie ai progressi della scienza, non significa essere destinati alla solitudine e all’abbandono. Soprattutto perché l’Italia è oggi il secondo paese al mondo – dopo il Giappone – per numero di anziani. In Italia ci sono 7 milioni di persone dai 75 anni in su; 4 milioni sono gli ultra 80enni. In totale i nostri concittadini e concittadine sopra i 65 anni sono 14 milioni, dunque un intero popolo!».

Quali sono le principali proposte elaborate dalla Commissione per la riforma della assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana, istituita dal Ministro della Salute Speranza e da Lei presieduta, e presentate al Presidente del Consiglio Draghi?
«Nel documento che la Commissione ha consegnato c’è un particolare capitolo che riguarda gli ultra 80enni, come dicevo 4 milioni di persone. Per essi il progetto presentato dalla Commissione prevede per una o due volte l’anno la visita di una équipe socio-sanitaria che pianifichi il percorso di cura. C’è poi la prospettiva anche di favorire il co-housing: gruppi di anziani che convivono insieme, ed anche la proposta di avere almeno mille centri diurni sparsi nel Paese per permettere agli anziani con disabilità o con particolari problemi di restare nel loro ambiente e venire aiutati, sostenuti e curati. È un progetto di significativo impatto sociale e lavorativo: serviranno almeno 100 mila nuovi operatori sociosanitari, con il compito di andare nelle case, assistere gli anziani o condurli in questi centri. Infine, c’è una possibilità di centri di lunga degenza, le famose Rsa, che dovranno però ripensarsi all’interno di questo “continuum assistenziale”. In tale prospettiva ogni Rsa dovrà perciò avere anche dei centri di riabilitazione, di co-housing e di assistenza domiciliare».

Tra le proposte avanzate dalla Commissione vi è la necessità dell’avvio di un sistema nazionale di accreditamento delle cure domiciliari. Siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione per l’assistenza domiciliare?
«Il testo ha un titolo significativo: “L’abitazione come luogo di cura per gli anziani”. Ci troviamo, in effetti, di fronte ad una vera e propria “rivoluzione” dell’assistenza agli anziani che ha come suo perno la domiciliarità. Gli anziani debbono poter restare là dove vivono da sempre. È una questione di civiltà. E deve esserci rispetto per questi cittadini che hanno servito il Paese per decenni. È in questa prospettiva che è stato finalmente deciso l’accreditamento nazionale per tutti quelle associazioni che vogliono servire gli anziani. Sino ad oggi il servizio era regolato da disposizioni regionali che prevedevano gare di appalto con le relative disfunzioni e disparità. Oggi c’è una normativa nazionale uguale per tutti che richiede i requisiti adeguati per una assistenza degna di tale nome».

Perché la Commissione ha sentito il bisogno di scrivere una Carta per i diritti delle persone anziane e i doveri della comunità?
«C’era bisogno di un testo che aiutasse l’opinione pubblica a comprendere quanto sia necessario porre attenzione agli anziani, non come concessione bensì come riconoscimento di diritti. Non si volevano redigere solo principi, ma indicare prospettive su cui costruire, rinnovare e implementare un nuovo sistema sociosanitario italiano. Da una parte, abbiamo guardato alle sofferenze ed alle gravi limitazioni cui sono stati sottoposti i nostri vecchi – e non solo per la pandemia – quanto piuttosto per le oggettive condizioni di vita, in residenze spesso abusive e totalmente prive di controlli. Dall’altra, ci siamo concentrati su quel che si deve assolutamente salvare nelle età avanzate della vita, sull’essenziale che non deve mai mancare: rispetto e dignità, compagnia, libertà di scelta. Anche gli anziani hanno diritto di pensare al futuro! E a tutti noi spetta il dovere di non far mancare tutto questo, anzi di considerarlo come un dovere collettivo. I diritti degli anziani, infatti, sono quelli di noi tutti! Tutti lo saremo e tutti abbiamo la giusta pretesa di non vivere questa stagione della vita come un inferno di dolori, di abbandono e di umiliazioni».

Le proposte della Commissione arrivano nei giorni in cui è sottoposto all’esame parlamentare il disegno di legge sull’aiuto al suicidio e avanza una raccolta di firme per il referendum per introdurre l’eutanasia.
«Il referendum – che sta avendo numerosissime firme – vuole l’abolizione di quella parte dell’art. 579 del codice penale dove si parla di “omicidio del consenziente”. Di fatto è la liberalizzazione di ogni forma di omicidio del consenziente, anche se determinato, per esempio, da una depressione, da un fallimento finanziario, da una delusione sentimentale, da una momentanea fragilità psichica e anche se commesso con mezzi violenti. Altra cosa è la sentenza della Corte Costituzionale del 2019 con la quale sollecita il Parlamento per il cosiddetto “suicidio assistito” regolato dall’articolo 579 del Codice penale, in relazione al caso «dj Fabo-Marco Cappato». Il rischio di confondere i due articoli è alto. E mi chiedo quanti dei firmatari ne siano consapevoli. Va notato, ad esempio, che la Corte non reputa incostituzionale il reato di aiuto al suicidio in generale, ma solo la punizione dell’aiuto in presenza di situazioni molto circostanziate, ossia nella misura in cui non contempla quattro circostanze in cui l’aiuto al suicidio andrebbe depenalizzato: la persona è affetta da patologie irreversibili, prova sofferenza intollerabile, è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale ed è incapace di prendere decisioni libere e consapevoli. In realtà il dibattito parlamentare e quello giuridico sono rivelatori di questioni culturali e etiche più profonde. In gioco non c’è soltanto una legge, bensì costumi e convinzioni. Una legge non azzera né dà vita a un comportamento: è esattamente il contrario. La legge è un effetto, una conseguenza ed è bene accorgersi di come il sentire comune, a livello culturale e antropologico, sia cambiato».

Un articolo di

Federica Mancinelli

Federica Mancinelli

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