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I media, macchine della meraviglia

28 marzo 2024

I media, macchine della meraviglia

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Si può parlare di media all’interno di un festival dedicato alla spiritualità? Naturalmente sì, se il festival in questione ha per titolo la “Meraviglia vigilia di ogni cosa”, come è stato per la prima edizione di Soul, la manifestazione culturale promossa dall'Università Cattolica del Sacro Cuore e dalla Diocesi di Milano. Non c’è dubbio, infatti, che tutti gli strumenti che nel corso delle epoche storiche l’umanità ha inventato per comunicare e trasmettere il pensiero sono dispostivi e a volte vere e proprie “macchine della meraviglia”, capaci di produrre stupore e incanto. A cominciare dalla scrittura fino ad arrivare all’intelligenza artificiale, passando per fotografia, cinema, televisione e social, i media ne hanno dato innumerevoli prove lungo la loro storia. E moltissimi sono stati gli esempi che hanno fatto, dialogando tra loro nel corso dell’incontro alla Fondazione Feltrinelli, venerdì 15 marzo, il sociologo Fausto Colombo, prorettore dell’Università Cattolica e direttore del Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo, Massimo Scaglioni, che in largo Gemelli insegna storia dei media, la giornalista e saggista Cristina Battocletti e Lodo Guenzi, musicista, attore di teatro e cinema, nonché frontman del gruppo Lo Stato Sociale.

Partendo dalla letteratura, come ha ricordato Cristina Battocletti, perfette “macchine della meraviglia” sono stati i romanzi di Salgari, capaci di evocare mondi esotici, benché il loro autore non si fosse mai mosso da casa. Per non parlare, naturalmente, della Commedia di Dante, che definì una volta per tutte il mondo ultraterreno. Naturalmente con la meraviglia hanno flirtato anche tutti i grandi maestri di stile, inventori di lingue originali e stupefacenti: Gesualdo Bufalino con la sua prosa barocca, gli scrittori in Francia del gruppo OuLiPo fondato da Raymond Queneau con la loro scrittura potenziale, Italo Calvino, con le sue città invisibili. I loro espedienti, le loro tecniche, gli universi che crearono con la scrittura, continuano a destare meraviglia. E lo stesso hanno fatto le prime vere e proprie macchine costruite per comunicare: prima la fotografia e poi il cinema. Una ricerca che ha indagato anche i lati più oscuri dell’animo umano, come nel caso dei soggetti fuori norma, ritratti dalla fotografa Diane Arbus, o l’orrore estremo di un film come Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. Apparati per la costruzione di esperienze di stupefazione e incanto, nel bene e nel male, ha sottolineato Fausto Colombo, i media si sono spinti spesso al limite, «sino a correre il rischio di anestetizzare il dolore». «Il che – ha fatto notare il sociologo - ripropone sempre il dilemma etico, più attuale che mai, su che cosa sia lecito mostrare e guardare». 


Il discorso si fa, invece, più complicato e ambiguo, se si vuole affrontare il rapporto con ciò che non esiste più, cioè quell’aspetto che più strettamente è collegato alla dimensione spirituale. È infatti meno immediata la relazione dei media con questo tratto dell’esperienza umana. Eppure, la rappresentazione della morte è stata un’ossessione dei mezzi di comunicazione sin dalle origini, «come se fossero, in quanto macchine, prigionieri della stessa sindrome di Frankenstein, che domina la tecnica nel desiderio spasmodico di trattenere la vita», ha detto Massimo Scaglioni che ha citato due casi emblematici di questa ambizione impossibile ed insieme inquietante. All’inizio della storia del cinema, in uno dei primi film dei fratelli Lumière, Repas de bébé, viene ripresa una scena di vita familiare: le recensioni del giorno successivo dissero entusiastiche che con il cinematografo finalmente si sarebbero potuti rivedere i cari anche dopo che erano deceduti. Il secondo episodio è invece contemporaneo. Recentemente ha destato emozione e sconcerto il documentario Meeting You nel quale il regista sudcoreano Kim Jong-woo mostra una madre che dialoga con l’avatar della figlia morta riprodotta con una cura e verosimiglianza stupefacenti, attraverso le tecniche di realtà virtuale. Insomma, sono passati 150 anni e la promessa della tecnologia, quella nel caso specifico della riproduzione o produzione di immagini in movimento, è ancora la stessa: vincere l’ultimo limite, quello della morte.

Chissà allora se ha ragione Lodo Guenzi quando dice che «solo l’immaginazione e la creatività possono mostrare davvero ciò che non vi vede», rievocando un famoso episodio della carriera di Marcel Marceau, quello in cui l’attore francese rivelò come riuscì a rappresentare il volo di un uccello. L’idea raccontò il mimo gli venne osservando l’esercizio di un maestro di Tai Chi il quale tratteneva un passero nella mano, semplicemente muovendo il polso in modo da impedirgli di trovare un punto di appoggio da cui slanciarsi. Solo un artista può farci vedere tutte le possibili traiettorie di un volo, cioè la vita che deve ancora avvenire e quella che si è già conclusa, con un solo unico gesto. Non lo può fare nessuna macchina. Almeno sino ad ora.

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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