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Gurnah, un Nobel alla letteratura africana

07 ottobre 2021

Gurnah, un Nobel alla letteratura africana

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Giovedì 7 ottobre ottobre l’Accademia Reale Svedese delle Scienze di Stoccolma ha conferito il Premio Nobel per la Letteratura a Abdulrazak Gurnah per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti. Abbiamo chiesto ai professori Beatrice Nicolini e Cristina Vallaro, rispettivamente docenti di Storia e istituzioni dell’Africa, un commento scientifico sul prestigioso riconoscimento.


Il Nobel a Gurnah, la letteratura della diaspora
di Beatrice Nicolini 

Il conferimento del premio Nobel per la letteratura a un autore come Abdulrazak Gurnah, nato nell’isola di Zanzibar, Tanzania, nel 1948, contribuisce all’emersione di una copiosa letteratura sulle migrazioni, le cosiddette ‘diaspore’, nelle sue molteplici differenziazioni. Queste differenziazioni sono oggi elementi fondamentali delle nuove dinamiche legate alle relazioni non solo internazionali ma soprattutto ai rapporti tra popolazioni di quel ‘global south’, di quel sud del mondo che rimane sempre più privo di voce, popolato da coloro che non hanno diritto a possedere una voce.

Troppo a lungo le creazioni di gerarchie entro le classificazioni delle letterature per la comprensione di aree come l’Africa orientale subsahariana e l’Asia sudoccidentale hanno privilegiato autori occidentali o autori che scrivono per l’occidente. Le fondamentali scuole legate agli studi post-coloniali e agli studi sulle subalternità, di cui Gurnah è eccellente erede e interprete, scelgono invece di ripensare a tali regioni del mondo con sguardi consapevoli delle ferite, tramite narrazioni che mettono al centro le esistenze degli ‘altri’; ‘altri’ che tanto si vogliono non comprendere fino a negarne l’esistenza.

Entro un panorama composito e complesso che oggi impone di ripensare alle relazioni interpersonali e internazionali, un esempio letterario riferito alle migrazioni e alle ferite delle ‘diaspore’ condotto tramite il premio Nobel alla attenzione globale non può che contribuire a evoluzioni positive.


Gurnah, un Nobel che fa ben sperare
di Cristina Vallaro

È notizia di poche ore fa l’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura 2021 a Abdulrazak Gurnah, tanzanese di origine trasferitosi in Inghilterra, quando ancora ventenne, nel 1968, come rifugiato politico. Conosciuto soprattutto come Professore Emerito di Letteratura Inglese presso l’Università del Kent, Gurnah è autore di romanzi che hanno riscosso grande successo in ambito internazionale: il suo quarto romanzo, Paradise, fu tra i candidati per il Booker Prize nel 1994.

Formatosi sui grandi autori della letteratura in lingua inglese, dalla tradizione anglosassone a V.S Naipaul, passando per Shakespeare e altri grandi del passato, Gurnah è un’importante voce del mondo postcoloniale, del quale si occupa anche come studioso di letteratura, di cui mette in risalto le tematiche principali, legate allo sfaldamento dell’Impero coloniale britannico e alle mille voci che ne facevano parte. Di particolare interesse, per Gurnah sono la migrazione dall’Africa Orientale all’Europa e la vita, in bilico tra ricordo e speranza, di coloro che, migrando, si vedono costretti a costruire la propria identità in sintonia con nuovi ambienti, nuove culture e nuovi climi.

È quanto succede, ad esempio, nel suo romanzo del 2001, By the Sea, nel quale racconta la difficile esistenza di un anziano richiedente asilo: lontano da Zanzibar, la sua terra d’origine, e dai suoi affetti, Saleh Omar, il protagonista del romanzo, rimane chiuso nel suo silenzio fino a quando l’incontro con Latif in una cittadina inglese sulla costa, non gli cambierà la vita. Lui stesso rifugiato politico, Gurnah racconta nei suoi romanzi la sua esperienza, richiamando così l’attenzione su un tema che oggi è di grande attualità. “He’s an extraordinary writer writing about really important things”: uno scrittore straordinario che si occupa di cose veramente importanti, commenta Chinua Achebe, altra voce significativa della letteratura postcoloniale, compiaciuto e soddisfatto per il Nobel a Gurnah.

Salutato come uno dei più grandi scrittori africani viventi, Gurnah, autore davvero poco conosciuto in Italia, si impone sulla scena internazionale richiamando l’attenzione collettiva sul tema più scottante del momento e costringendo tutti quanti a fare i conti con una coscienza spesso ignorata, quando non messa a tacere.

E l’assegnazione di questo premio Nobel è una voce squillante, che “senza compromessi e dalla compassionevole comprensione degli effetti del colonialismo e della sorte dei rifugiati” (dalla motivazione espressa dall’Accademia di Stoccolma per il conferimento del premio), ci insegna la grandezza di un uomo che, con eleganza e gentilezza, è entrato in punta di piedi nel nostro mondo occidentale per aiutarlo a fare i conti con la propria coscienza e a farlo riflettere su quanto lunga sia la strada da percorrere prima che il mondo cambi e quanto facile debba essere, in realtà, il dialogo tra essere umani.

Anni fa, Gurnah aveva anticipato questo suo desiderio di integrazione e inclusione dei popoli e fra i popoli, in un suo romanzo. Uscito nel 2005, Desertion racconta di Hassanali, mussulmano, che sulla strada della moschea dove si stava recando per pregare, incontra Martin Pearce, viaggiatore e scrittore inglese, reduce da una faticosa attraversata del deserto africano: senza pensarci due volte, Hassanali lo soccorre salvandogli la vita, generando in Pearce un sentimento di gratitudine e riconoscenza che, anni dopo, si concretizzerà anche in una bellissima storia d’amore con Rehana, sorella di Hassanali.

Certo, questo è un romanzo e la storia che vi è raccontata ha il sapore di un ideale lontano, fantasioso, difficile da raggiungere, ma sicuramente, dopo il Nobel a Gurnah, non può più essere così lontano e sicuramente non impossibile.

Un articolo di

Beatrice Nicolini e Cristina Vallaro

Docenti di Storia e istituzioni dell’Africa e Letteratura inglese

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