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Il pianista, una partitura vivente

10 novembre 2023

Il pianista, una partitura vivente

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Quando le mani volano sulla tastiera, ora lievi ora impetuose, tanto da non distinguere i bianchi e i neri, un’esplosione di pathos rapisce i cuori di chi ascolta. È l’esperienza del pubblico davanti ai pianisti d’eccezione che quest’anno hanno animato da marzo a novembre la seconda edizione de “Il Pianoforte in Ateneo. La grande musica a Milano”, il Progetto promosso dallo Studium Musicale di Ateneo dell’Università Cattolica e dalla prestigiosa casa produttrice di strumenti musicali Kawai Pianos di Hamamatsu con la direzione artistica del Maestro Davide Cabassi e la direzione scientifica del professor Enrico Reggiani, direttore dello Studium Musicale.

Giovedì 9 novembre, dopo l’introduzione del professor Reggiani, il Maestro spagnolo Josu de Solaun ha regalato momenti di altissimo livello, passando dalla musica rapsodica di E. Granados e M. De Falla a quella più romantica di F. Chopin e F. Liszt passando dal francese C. Debussy. Nel 2023, il Maestro ha ricevuto il suo secondo ICMA Award (International Classical Music Award), questa volta nella categoria solisti, mentre il precedente nel 2021 era stato nella categoria musica da camera.

Un articolo di

Emanuela Gazzotti

Emanuela Gazzotti

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Un sottile filo conduttore ha legato questi autorevoli compositori, come ci ha raccontato lo stesso de Solaun: «Il primo brano che apre la serata è l’Allegro de concierto di Granados, romantico, lirico, tenero. L’ultimo è la Fantasia Betica di De Falla che rappresenta la parte romana della Spagna, l’Andalusia. Qui il compositore ha scelto uno sguardo primitivo, cercato un passato ancestrale e atavico, e nel brano che evoca il folklore di un ballerino di flamenco il pianoforte diventa esuberante, quasi a contenere anche il suono di una chitarra. Due opposti, l’uno quasi selvaggio e orgiastico, e l’altro raffinato ed elegante». 

Debussy è uno dei compositori preferiti del Maestro de Solaun, da lui scelto per la serata perchè molto amico di Granados e De Falla che avevano studiato a Parigi, e devoto alla musica spagnola. «Ho pensato che questo fosse un trio unito dall’amicizia e da una visione simile della musica. Di Debussy ho scelto tre brani: Ondine, ritratto di una sirena malefica, Feu d’artifice, caratterizzazione sonora dei fuochi d’artificio dove il pianoforte diventa una tavolozza di colori, e Minstrels che si lascia influenzare dal jazz americano. In mezzo ho voluto inserire il pianoforte romantico di F. Chopin e F. Liszt, riferimenti importanti dei due compositori spagnoli. Il Waltz Mephisto di Liszt è un ritratto della sensualità del male, una versione sonora del Faust del poeta austriaco Nicholais Lenau. Qui Mefisto entra in una taverna dove si festeggia un matrimonio e tutto si trasforma in una situazione maledetta con un clima caotico, selvaggio e oscuro. Infine, uno degli ultimi Notturni di Chopin, scritto a Parigi nel 1846, tre anni prima di morire, pieno di lirismo e sogno, un brano mesto, che comunica una tristezza stoica, interiore».

Che valore hanno l’immaginazione e la creatività nell’esecuzione di un brano? Per Jaun de Solaun suonare è come per il rapsodo recitare: «La partitura è come un testo che faccio rivivere proprio come quando mio nonno mi raccontava delle storie sempre diverse ma con un denominatore comune. Come il poeta esprime tutto l’archivio culturale orale e scritto che porta dentro di sè, così il pianista deve essere una partitura vivente perché la partitura da sola non suona».


Assistere da spettatori alla naturalezza e alla perfezione dell’esecuzione pianistica di un maestro fa pensare che sia quasi più naturale imparare il linguaggio musicale prima della lingua parlata. De Solaun non è d’accordo perché per lui «la musica non è un linguaggio ordinario, è simile solo a quello poetico e solo metaforicamente funziona come un linguaggio ma è qualcosa di molto più enigmatico. Nella maggior parte dei casi il linguaggio è denotativo, mentre la musica non denota nessun oggetto reale, fisico, assomiglia più al crescendo e all’attenuazione della nostra vita interiore, ora molto felice ora melanconica. Tutto cambia e la musica è un’espressione di queste onde». 

In sintonia con questa visione il professor Reggiani introducendo l’evento ha ricordato che «George Bernard Shaw, intelligente critico musicale, oltre che scrittore e drammaturgo, nel 1894 in un articolo intitolato “The religion of the pianoforte” scrisse che l’invenzione del pianoforte è stata per la musica quello che l’invenzione della stampa è stata per la poesia».

Il successo di pubblico del “Pianoforte in Ateneo”, che dal 16 marzo ha proposto un ricco programma con i pianisti Leonora Armellini, Nicolas Giacomelli, Andrea Lucchesini, Viviana Lasaracina, Tatiana Larionova e Josu de Solaun, è la cartina tornasole che racconta il valore di questa serie di eventi che hanno coinvolto la comunità universitaria e la città di Milano che è stata arricchita grazie a un alto profilo artistico e a modalità innovative dal punto di vista cultural-musicologico. In attesa del prossimo appuntamento con la terza stagione.
 

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