Ha condiviso questo pensiero il microbiologo Stefano Bertuzzi, laureato in Università Cattolica e oggi Ceo della Società Americana di Microbiologia, intervenuto in collegamento dagli Stati Uniti: «Ci rendiamo conto di sapere di non sapere, forse conosciamo il 5% del nostro cervello. Il nostro approccio è quello dello scienziato e della ricerca al servizio delle persone perché la conoscenza è lo strumento fondamentale per trovare una soluzione ai problemi del mondo». Qualche esempio particolarmente significativo riguarda le scoperte recenti relative al microbioma. «Negli ultimi dieci anni abbiamo superato una barriera enorme: prima potevamo coltivare l’1% dei microorganismi, oggi possiamo catalogare e conoscere dal punto di vista genetico tutti i microorganismi nel corpo umano e abbiamo scoperto che sono infiniti. Inoltre, abbiamo rilevato con sorpresa che i microorganismi nel nostro corpo hanno un impatto fortissimo e che l’intestino influenza fortemente il cervello nelle malattie neurologiche o psichiatriche». Anche per quanto riguarda l’ambiente i microbi possono essere amici o nemici della sostenibilità. Infatti, «la sostenibilità energetica potrebbe essere coperta al 60% da fonti microbiologiche. Noi lavoriamo all’economia circolare per vedere come gli scarti derivati dall’agricoltura possono essere, attraverso procedimenti di fermentazione, trasformati ad esempio in idrocarburi».
Mentre si innalzano nuovi muri e si frappongono distanze tra i popoli, in controtendenza le frontiere della scienza continuano ad espandersi, come ha sottolineato il giornalista Roberto Fontolan che ha moderato l’incontro. In questa direzione è stato illuminante l’intervento di Claudia Maraston, astrofisica dell’Università di Portsmouth nel Regno Unito, tra i mille fisici più importanti al mondo. Nel suo intervento “La luce e il buio dell’universo” la scienziata ha spiegato come siano arrivati a conoscere che l’universo si è espanso nell’arco di 13,7 bilioni di anni, prima dando vita a stelle e galassie e solo 4,5 miliardi di anni fa al sole e al nostro pianeta Terra. Affascinante la descrizione del nostro sistema solare «che si trova all’esterno di un braccio spirale ben protetto da varie insidie cosmiche e dal buco nero al centro». Ma cosa non sappiamo ancora dell’universo? «Noi conosciamo solo il 4,6% della materia dell’universo, il 24% è materia oscura, e il 71,4% è composto di qualcosa che è stato definito energia oscura». Anche sull’origine dell’universo ci sono solo ipotesi come quella del Big Bang. Di certo - ha detto Maraston - si sa che «la geometria dell’universo si espande e sta accelerando. Quale il suo destino? Si sta forse disgregando. In prospettiva tutto il gas verrà consumato, le stelle moriranno, le galassie si affievoliranno e la Via Lattea colliderà con Andromeda».
L’uso del cervello è dunque fondamentale per aumentare la conoscenza che però, è anche oggetto di un sentimento e di una passione. Come ha ricordato il Rettore «l’uomo sa usare il suo cervello non solo per il ragionamento e la logica ma anche per qualcosa che ha un valore relazionale. La conoscenza non è neutra dal punto di vista del valore, della cultura e delle emozioni e l’Università ha a che fare con cervelli che dobbiamo aiutare a crescere, dando stimoli, indicando una strada, trasmettendo quello che noi abbiamo imparato e facendo sorgere curiosità, passione, gusto per lo sviluppo del proprio talento».
Lo psicologo Giuseppe Riva, direttore dello Humane Technology Lab dell’Università Cattolica, ha spiegato l’impatto della tecnologia sul nostro cervello e sulla socialità. «La socialità un tempo nasceva in comunità fisiche e questo è importante. I neuroni, infatti, si attivano in base allo spazio in cui ci muoviamo e sono fondamentali per la nostra memoria autobiografica: siamo studenti perché siamo in università! I luoghi ci permettono di definire la nostra identità. Uno dei problemi dei social è che i luoghi non ci sono». Inoltre, i neuroni specchio si attivano quando facciamo qualcosa o quando vediamo altri che agiscono e questo ci permette di riconoscere le emozioni e di stabilire un contatto empatico.
«Grazie all’hyperscanning si sa che quando siamo in una comunità fisica i cervelli entrano in sincronia, in modalità multi-processore, e producono risultati che da soli non potremmo raggiungere. I social media non hanno un luogo, aggregano i soggetti in “comunità di pratiche” con la finalità di raggiungere lo stesso obiettivo che, una volta raggiunto, priva di senso la comunità stessa - ha concluso Riva -. Di qui il senso di solitudine percepito. E gli psicologi assistono a un grande disagio provocato dai social media. È necessario tornare a frequentare i luoghi dove condividere quello che si vive».
Uno sguardo all’arte ha chiuso l’incontro dedicato al cervello. Il professore di Oftalmologia dell’Università Cattolica Stanislao Rizzo ha proposto un excursus tra arte e visione a partire dall’interrogativo: per dipingere bene un artista deve avere una buona vista? Pittori strabici, come il Guercino, o miopi come Monet e Van Gogh hanno dipinto capolavori. «Un difetto, quello della miopia, che riguarda oggi il 30% della popolazione e che è destinato a crescere al 50% entro il 2050, a causa dell’abitudine a leggere costantemente a video».