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In Etiopia, il Piano Africa alla prova della pace

13 novembre 2025

In Etiopia, il Piano Africa alla prova della pace

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Dal 1° gennaio 2026 partirà in Etiopia un progetto di cooperazione, volto al ripristino e alla tutela dell’area monumentale di Dire Sheik Hussein, luogo sacro e meta di pellegrinaggio per decine di migliaia di musulmani (in alto un'immagine del santuario). L’intervento, sviluppato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore insieme all’Università dell’Oromia (uno degli stati regionali del paese africano), si concentrerà sulla sicurezza e la salute dei pellegrini, nonché sulla salvaguardia ambientale del sito minacciato dall’insabbiamento a causa dei cambiamenti climatici. Ma sarà anche un esempio concreto di come l’Ateneo, attraverso il Piano Africa all’interno del quale ricade questa iniziativa, intende esercitare il proprio ruolo di istituzione di pace in un contesto segnato dalla violenza.

L’occasione per l’annuncio dell’iniziativa è stata una lezione aperta, dal titolo “Etiopia: prospettive di pace e di collaborazione?”, promossa martedì 11 novembre a Milano, dal Centro per la Solidarietà Internazionale (CeSI) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, alla quale sono intervenuti Mario Molteni, professore ordinario di Corporate Strategy e direttore del Piano Africa dell’Ateneo, Marco Lombardi, docente di Sociologia esperto nel settore della gestione delle crisi e della sicurezza e Giuseppe Mistretta, già ambasciatore d’Italia in Etiopia.

«Il progetto si focalizza sull’attuazione di misure urgenti per mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici sul patrimonio culturale del sito rinomato per la sua importanza religiosa, culturale ed ecologica - ha spiegato Marco Lombardi -. Ma il nostro compito sarà anche quello di costruire, attraverso la cooperazione, una relazione di fiducia e di rispetto dei diritti umani, base indispensabile per ogni forma di sviluppo».

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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La sfida è impegnativa, poiché il contesto è molto difficile, come ha spiegato con grande franchezza Giuseppe Mistretta, autore del libro “Tigray. La guerra invisibile”, edito dall’University press della LUISS.

Diplomatico di lungo corso, Mistretta è stato ambasciatore d’Italia in Angola dal 2009 al 2014 e successivamente, dal 2014 al 2017, in Etiopia.  In Africa, ha trascorso più di vent’anni della sua vita professionale. Nell’ultimo periodo è stato direttore per l’Africa Sub-Sahariana presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. L’Università Cattolica gli è legata da un debito di riconoscenza, come ha voluto sottolineare Mario Molteni.

Nella sua ultima pubblicazione, al centro dell’incontro in Ateneo, Mistretta denuncia con precisione e senza reticenze gli orrori della guerra che in Etiopia dal 2020 al 2022 ha provocato almeno 600mila morti. «Un conflitto fratricida, assolutamente evitabile e soprattutto consumato nel silenzio della comunità internazionale», lo ha definito l’ex ambasciatore parlando agli studenti e alle studentesse dell’Università Cattolica.

Durante l’incontro in Ateneo, Mistretta ha puntato il dito soprattutto contro la disattenzione politica e mediatica

«A parte qualche rara eccezione, nessuno ha parlato di questa guerra, in parte perché i fatti hanno coinciso con lo scoppio della pandemia e, subito, dopo l’invasione russa in Ucraina che si sono presi tutta l’attenzione, ma anche perché tra i governi e nelle cancellerie ha prevalso un cieco opportunismo», ha sottolineato il diplomatico.

Eppure, le violenze subite dal popolo etiope non sono state meno gravi di quelle per le quali si sono organizzate manifestazioni e proteste in Italia e in altri paesi occidentali.

Se ha senso paragonare gli orrori, ha spiegato Mistretta, le vittime in Etiopia sono state 10 volte quelle dichiarate fino ad ora a Gaza dopo l’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023. Anzi, secondo l’ex ambasciatore, per le modalità e l’intensità degli scontri avremmo potuto individuare nel Tigray «quel laboratorio di disumanità che poi abbiamo visto all’opera altrove, perché già in quel contesto si è assistito all’uso dei droni contro civili, al totale isolamento informativo e alla violenza sessuale come arma di guerra con intenti genocidiari».

Secondo Mistretta la pace firmata a Pretoria ha chiuso formalmente il conflitto, ma la tensione cova ancora sotto la cenere. Restano irrisolti molti nodi: il rapporto tra le diverse etnie del paese e il ruolo dell’Eritrea. E altre nuvole si addensano all’orizzonte. Focolai di potenziali crisi future si trovano in Egitto, che si sente minacciato dai progetti etiopici sul fiume Nilo, e in Sudan, devastato ai paramilitari.

Tuttavia, proprio, in questo contesto sono benvenute le iniziative che puntano sulla cooperazione e il dialogo, soprattutto quelle che partono dal basso e coinvolgono imprenditori, cooperanti, docenti universitari.

Più che con i governi, che passano, l’invito di Mistretta è stato di coltivare la relazione tra i popoli: «Il rapporto people to people - ha detto - resta la chiave per costruire pace e sviluppo. È la via che l’Italia e questo Ateneo possono continuare a percorrere».

L’incontro aveva anche un altro motivo di interesse. Era il primo appuntamento organizzato nell’ambito del “Piano Africa”, il programma strategico di Ateneo lanciato dal rettore Elena Beccalli nel gennaio 2025, che mira a valorizzare la lunga tradizione di impegno dell’Università Cattolica nel continente africano, favorendo nuove forme di collaborazione accademica, imprenditoriale e sociale.

Aprendo la lezione, Mario Molteni ha ricordato come l’iniziativa si inserisca in un percorso a cui il Rettore tiene particolarmente: «Quella che si apre oggi è l’inizio di una serie di incontri di ampio respiro sull’Africa, a cui si aggiungeranno quelli focalizzati sui progetti in cui il nostro Ateneo è impegnato, che uniscono ricerca, formazione e cooperazione».

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