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In marcia tra i colori diversi della Pace

15 ottobre 2025

In marcia tra i colori diversi della Pace

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Sotto la statua del Cristo Re, a Milano, ci si riconosce a prima vista: «Anche voi alla Perugia-Assisi?». Si capisce presto però che il pullman non partirà da largo Gemelli. Poco male: ci contiamo, siamo tutti, possiamo incamminarci verso via Cavour, lasciandoci alle spalle l’ingresso dell’Università.

A bordo, un’occhiata alle ultime notizie. Oggi è il giorno del grande ritorno a Gaza City. L’esercito israeliano ha cominciato la ritirata e migliaia di gazawi, dalla mattina, marciano tra le macerie della Striscia per capire che cosa ne è stato delle loro case. In serata, a Tel Aviv, i due mediatori americani, Witkoff e Kushner, incassano il ringraziamento dei parenti per la liberazione degli ostaggi che Hamas si è impegnata a rilasciare. Non è ancora la pace, gli ostacoli saranno moltissimi, ma la tregua è «un nuovo inizio per riscrivere una pagina completamente diversa», auspica da Gerusalemme il patriarca dei latini, il cardinale Pierbattista Pizzaballa.

Intanto Kiev è di nuovo al buio dopo l’ennesimo attacco di Mosca. A Zaporizhzhia un bambino di sette anni è morto tra i calcinacci della sua abitazione colpita da un drone.

L’autobus fa tappa a Piacenza per raccogliere gli altri partecipanti. Ci si sistema sui sedili, nel tentativo di trovare una posizione comoda: sarà una lunga notte. Ma è davvero meno di niente, a confonto con quella che trascorreranno migliaia di sfollati in Terra Santa, o con quella dei parenti dei cittadini israeliani tenuti prigionieri, chissà dove, dagli islamisti responsabili dell’attacco terroristico del 7 ottobre di due anni fa. E non è nulla nemneno rispetto alle notti delle famiglie ucraine, sempre in allerta nell’oscurità, con il cuore che sobbalza a ogni esplosione.

Sotto Porta San Pietro, a Perugia, la mattina siamo già moltissimi, pronti per la marcia fino ad Assisi. Lo striscione con la scritta “Fraternità” apre il corteo. Ci separano già diverse centinaia di metri e alcune migliaia di teste. Quindi non lo vediamo, lo leggiamo sui social che seguono in diretta. Sul palco le autorità civili danno il via alla manifestazione.

«Marciamo oggi nella storia per ricordare a tutti i leader del mondo che la pace è possibile», dichiara Maher Nicola Canawati, sindaco di Betlemme, città gemellata con Assisi. «Perugia non è mai stata così bella», dice la sindaca Vittoria Ferdinandi.

Ora ci si muove: la fiumana di gente defluisce verso la piana.

Anna Maria Fellegara, prorettore vicario dell’Università Cattolica, guida la delegazione dell’Ateneo e spiega le ragioni della partecipazione della comunità universitaria: «La Cattolica vuol essere nel mondo, senza essere del mondo. Questo vuol dire portare i nostri valori: quelli del dialogo, del confronto e dell’incontro fuori dall’Ateneo, per incrociare le istanze insopprimibili dell’uguaglianza, della giustizia e della libertà».

Di fronte alla massa umana che cresce, sorge la curiosità di sapere quanti siamo. Trentamila adesioni ufficiali per cinquantamila partecipanti, stimano gli organizzatori. «È una folla che non si vedeva dal 2001, quando la manifestazione si svolse pochi giorni dopo l’invasione dell’Afghanistan seguita all’attacco alle Torri Gemelle», faranno sapere a fine giornata.

Adesso la strada costeggia gli uliveti che coprono le colline e la mente ne rievoca altri: quelli che da decenni si contendono palestinesi e israeliani, a poco più di duemila chilometri da qui.

Un simbolo di pace capovolto nel suo contrario: i ramoscelli d’ulivo compaiono stilizzati sulla kefiah che Lin Kabakebbji ha avvolto sulla testa come un turbante. Origine palestinese da parte materna, siriana da quella paterna, nata a Perugia ma cresciuta a Milano, Lin studia Scienze dell’educazione in Università Cattolica: «Sono qui per dare voce a chi oggi non riesce a far sentire la propria, nemmeno per avere un pezzo di pane. E lo voglio fare qui, perché questo è un modo pacifico e non violento di gridarlo».

L’appello lanciato dai promotori era rivolto contro le guerre, tutte le guerre. Ma l’attenzione, indubbiamente, è per Gaza. Le bandiere palestinesi battono di gran lunga quelle ucraine. Gli slogan protestano «contro l’indifferenza che è complicità», le stesse parole che si sono sentite nelle piazze negli ultimi tempi e che a volte hanno avuto strascichi violenti, macchiando le intenzioni della stragrande maggioranza dei dimostranti. Qui va tutto liscio sino alla fine: prevale il clima di festa, il desiderio che «in un pianeta in fiamme, in un mondo in guerra, noi vogliamo spingerci in una direzione e in un mondo diverso», come scrivono i promotori nel manifesto, il cui titolo “Imagine All The People” è una citazione della nota canzone composta da John Lennon.

Nel tripudio di vessilli, compare una bandiera israeliana: è intrecciata con una palestinese, come a dire il comune destino che lega i due popoli.

Davanti alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, ai piedi di Assisi, Ivana Pais, sociologa e docente dell’Ateneo, prova a tirare le somme: «Dagli striscioni agli slogan, oggi abbiamo avuto la conferma di come la parola “pace” abbia assunto significati diversi. Ma è proprio questa diversità di linguaggi e posizioni a rappresentare la forza della marcia sin da quando venne organizzata la prima volta nel 1961. All’interno di questa pluralità, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha voluto cogliere quest’anno l’occasione per testimoniare, attraverso una delegazione di studenti, studentesse, docenti e personale tecnico-amministrativo, l’impegno della comunità universitaria per il dialogo e la cooperazione in continuità con un ampio ventaglio di iniziative già avviate».

Mancano gli ultimi quattro chilometri per arrivare a destinazione. Mentre si imbocca la salita che conduce ad Assisi, in cielo prende forma un arcobaleno, nonostante la giornata sia stata sempre serena e non sia scesa nemmeno una goccia di pioggia. Tutti puntano gli occhi in alto e scattano le foto coi cellulari. C’è chi dice, scherzando ma forse non del tutto: «È il sorriso di Dio». Qualcun altro, più scettico, controlla su Google e tranquillizza chi gli sta accanto: «È un fenomeno raro, ma possibile, non è un’allucinazione collettiva».

Sul sagrato della Basilica Superiore di San Francesco, un incontro fortuito conclude la giornata della delegazione dell’Università Cattolica: il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, in città per la prima memoria liturgica di san Carlo Acutis, saluta e incoraggia.

L’ultimo pensiero è l’augurio di uno studente, Luca Pinoli: «C’è una frase di un autore che ho studiato e che credo riassuma il significato di questa giornata. È quella del pedagogista brasiliano Paulo Freire. Cito a memoria: “L’educazione non cambia il mondo, ma cambia le persone e le persone cambiano il mondo”».

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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