NEWS | Piacenza

"It’s only one leg less"

06 ottobre 2023

"It’s only one leg less"

Condividi su:

«It’s only one leg less».

Un messaggio che non lascia spazio a dubbi, quello che Francesco Messori porta tatuato sulla nuca: ha imparato a camminare con la protesi a un anno e mezzo, lui che senza la gamba destra ci è nato. Durante la Settimana del dono, che dal 2 al 6 ottobre ha punteggiato di eventi e spazi di approfondimenti le aule dei campus di Piacenza e Cremona, Francesco ha portato la sua storia, normale e straordinaria insieme.

Francesco entra nell’aula gremita da 300 studenti muovendosi agilmente con l’aiuto delle stampelle: la disabilità c’è «non è soltanto negli occhi di chi ci guarda, come si usa dire: se mi chiedono di fare il cameriere non posso farlo, non ho una gamba. Il modo in cui gli altri si pongono nei confronti di chi, come me, ha una disabilità, è la conseguenza di come io mi pongo nei loro confronti, di come io stesso la faccio vivere agli altri». 

Detto fatto: quando comincia a parlare, della sua disabilità ci si dimentica, rapiti da un racconto fatto di coraggio quotidiano, di difficoltà, paure e fatto di sogni, come per tutti. Tra i sogni c’è il calcio, la passione che lo conquista fin da bambino: «A 7 anni giocavo con le squadre della parrocchia, in oratorio, i miei compagni con due arti mi hanno sempre accettato e mi divertivo moltissimo». Però la protesi, in campo, gli dava fastidio, «essendo nato senza un arto non ne sentivo il bisogno; d’altronde il mio destino era vivere senza una gamba, perché portare qualcosa che avrebbe dovuto aiutarmi e che invece vivevo come un ostacolo? Così ho iniziato a usare le stampelle».

Poi, all’inizio dell’adolescenza si pone il problema di poter giocare in partite ufficiali «non potevo per regolamento, mi dovevo limitare agli allenamenti». Con l’aiuto dei genitori («senza di loro non sarei qui a parlare, mi hanno sempre fatto vivere la mia situazione con normalità») nel 2012 è stato tesserato dal Csi (Centro sportivo italiano) e ha potuto giocare in campionato. «Da quel momento è nata l’idea di giocare a calcio con persone amputate come me». Che presto si trasforma in progetto concreto: con l’aiuto della mamma, nel 2012 ha aperto su Facebook il gruppo “Calcio amputati Italia”.

«In Italia una nazionale di calcio per amputati non c’era» diversamente da quanto accade in Turchia, dove si svolge un campionato di professionisti a 20 squadre, o in Polonia, in Inghilterra o altri Paesi. Le adesioni arrivano, e nasce la nazionale amputati di cui Messori è fondatore e capitano,che oggi è affiliata alla Fispes (Federazione italiana sport paralimpici e sperimentali), e si confronta su terreni internazionali «Da pochi giorni siamo tornati dalla Francia con il titolo di campioni della divisione B della Nations League - racconta - dopo avere superato i francesi, la Germania e l’Irlanda. Nella prossima edizione ci confronteremo con i più forti d’Europa».

Francesco racconta poi del periodo più difficile, quello della depressione. Era il 2021, aveva raggiunto una certa notorietà e «mi chiamavano per parlare della mia storia ero diventato famoso, ho cominciato a sentirmi migliore degli altri e sono arrivato a dare troppa importanza a cose superficiali, dando valore alle apparenze e al successo. Mi ero allontanato da me stesso, rincorrevo gli status symbol, curavo solo l’immagine e perso di vista il vero me». Un vuoto di senso che lo ha fatto cadere in una profonda depressione».

«Ho vissuto l’inferno sulla terra – racconta senza barriere a una platea attentissima - niente mi dava gioia. Non volevo più guardarmi allo specchio, non mi accettavo più. In quel momento ho capito che mai e poi mai sarei stato padrone di me stesso. Ho pensato di togliermi la vita, perché nessuna speranza umana avrebbe potuto tirarmi fuori da lì». Passa attraverso due tentativi di togliersi la vita. «Dopo il secondo, al risveglio ho visto quella luce, l’ho vista nel cuore. Ho pianto di gioia, profonda e incontenibile, pervaso da un senso potente di gratitudine per la vita che mi era mancato fino a quel momento. E ho provato un amore verso il prossimo che andava oltre i confini terreni, superando qualsiasi felicità che avevo potuto toccare fino a quel momento nella mia vita. Oggi sono qui per portare la mia testimonianza di vita e di fede in Dio».

La testimonianza di una normalità ben sintetizzata nelle parole del Messori bambino, quando ha avuto l’occasione di incontrare il suo idolo Messi. «Sono contento - disse allora - è il mio giocatore preferito, è mancino come me».

Un articolo di

Sabrina Cliti

Sabrina Cliti

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti