L’Accademia Svedese ha conferito a Krasznahorkai László il Premio Nobél per la letteratura in questo straordinario ottobre del 2025: l’annuncio è giunto il giorno del proclamato accordo sulla questione di Gaza. Forse era destino o forse c’è, la Provvidenza. Il vincitore è il diciassettesimo scrittore di origini ebraiche a vincere il Nobél per la letteratura. Commenta il Premio il preside della Facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere Giovanni Gobber.
L’Accademia Svedese ha spiegato che il premio è stato assegnato all’autore magiaro «per la sua autorialità visionaria e potente che, nel mezzo dell’orrore della distruzione, mantiene la fede nelle possibilità dell’arte» («för hans visionära och kraftfulla författarskap som mitt i undergångens fasa upprätthåller tron på konstens möjligheter»); nella versione inglese della dichiarazione il premio è conferito «per la sua opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell'arte» («for his compelling and visionary oeuvre that, in the midst of apocalyptic terror, reaffirms the power of art»).
Qualcosa si è perso nella traduzione. Resta la fiducia nell’arte, che può soverchiare l’Apocalisse. L’arte è creazione, e la creazione è un continuo nuovo inizio del mondo. Ma l’Apocalisse c’è: è ovunque, nelle vicende del mondo. I critici hanno rilevato che la lingua di Krasznahorkai sembra protrarsi alla fine dei tempi: lunghe, febbrili meditazioni senza punteggiatura sul caos, la fede e il collasso. Egli è autore della tradizione mitteleuropea che annovera Kafka e Thomas Bernhard; è cresciuto e maturato nell’esperienza del socialismo reale e dell’assurdo quotidiano, l’Assurdistan di Václáv Havel. L’attesa della salvezza imprevista nel trascinarsi assurdo di mondi che collidono mentre il tempo fluisce e sembra finire, ma non finisce mai.
Il cognome è di matrice slava. Di magiaro c’è la -i finale: è un suffisso, che serve per fare un aggettivo da un’altra parola, che qui è Krasznahorka. Horka è un diminutivo di hora, che in ceco, slovacco e ucraino vale ‘monte, montagna’: Krásná Hora è una località della Moravia. Se fosse in Italia, si chiamerebbe Belmonte. Krasznahorkai significa, all’incirca, ‘da Belmonte’. Il vincitore del Premio Nobel si chiama dunque Ladislao Belmontano. Ma la storia del cognome reca tracce dell’assurdo. Lo scrittore ha infatti raccontato, in una intervista del 2018 (riferita dal Times of Israel), che aveva 11 anni quando il padre gli rivelò di essere ebreo – una identità che egli aveva occultato cambiando (nel 1931) il cognome da Korin a Krasznahorkai. Di questa storia, «nell’era socialista era vietato fare menzione», ha aggiunto, precisando di essere ebreo per metà, «ma se in Ungheria le cose vanno avanti come sembra probabile che vadano, sarò presto ebreo per intero». Non ha gran simpatia per l’attuale governo del suo Paese.
Esce nel 1985 la sua prima opera, Sátántangó (1985) – dodici capitoli, ciascuno di un solo capoverso – che lo ha reso famoso nel milieu letterario magiaro e lo fa conoscere all’estero. È narrata la vita in un villaggio in disgregazione in una Ungheria comunista distopica, dove un uomo chiamato Irimiás, a lungo ritenuto morto e che potrebbe essere un profeta, un agente segreto oppure il diavolo, appare dal nulla e inizia a manipolare i cittadini rimasti. Una storia talmente cupa, da essere divertente, ha detto il critico del londinese Guardian. La versione italiana, uscita per Bompiani, è di Dóra Várnai, che ha tradotto altre opere di Krasznahorkai: Guerra e guerra (2020), Il ritorno del barone Wenckheim (2019) e Herscht 07769 (2022); nel 2018, con Bruno Ventavoli, ha tradotto Melancolia della resistenza.
Krasznahorkai viene da Gyula, città dell’Ungheria sud-orientale, sede di istituzioni culturali della minoranza romena d’Ungheria. Ha studiato giurisprudenza e poi letteratura a Budapest negli anni Settanta e Ottanta del Novecento. Nel 1987 ha lasciato l’Ungheria socialista e si è trasferito a Berlino Ovest. Nel decennio successivo è stato in Cina, in Mongolia, in Giappone, ma ha soggiornato anche a New York, in casa di Allen Ginsberg, che gli è stato consigliere. Oggi vive tra Budapest e Berlino, dove (nel 2008) è stato Gastprofessor alla Freie Universität.