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L’impegno di Gianni Minà per il riscatto degli esseri umani

28 marzo 2023

L’impegno di Gianni Minà per il riscatto degli esseri umani

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Uno dei più noti imitatori italiani era solito ripetere, con grande successo, uno sketch su Gianni Minà. Ricordando un modo di parlare molto caratteristico, sottolineato dal tipico zezeo di Gianni, diceva: "Ieri eravamo a cena con un gruppo di amici. C'erano Diego, Gabo, Mohammed, Eduardo, Robert, Lula, Betto e io". Il pubblico rideva di gusto, perché lo scherzo consisteva nel riconoscere i protagonisti dell'aneddoto. Diego era Maradona; Gabo, García Márquez; Mohammed, Cassius Clay; Eduardo era Galeano; Robert, De Niro; Lula, l'attuale presidente del Brasile; Betto, il teologo della liberazione. La comicità risiedeva anche nella verità della battuta: Gianni era un giornalista italiano che poteva vantare l'amicizia dei grandi della cultura mondiale. In particolare, con i latinoamericani, perché era innamorato del loro continente. Era innamorato anche del Nord America, dove aveva conoscenti tra i più importanti esponenti della loro cultura.

Minà aveva iniziato come giornalista sportivo ed era diventato direttore di uno delle più importanti pubblicazioni del settore. Si era distinto anche in radio e in televisione, sempre nel settore sportivo. Esiste una serie televisiva, prodotta per la RAI, in cui Minà racconta la storia del pugilato mondiale. Un gioiello, che gli veniva sempre chiesto di rieditare, e che lui lasciava sempre per un secondo momento. Perché, a un certo punto della sua vita, Gianni scoprì l'America Latina. In mezzo, un matrimonio e il meraviglioso Messico che seduce gli europei. Minà si dilettava a leggere i classici moderni dell'America Latina. Come ha fatto a conoscere personaggi ermetici come Gabriel García Márquez?

Forse il segreto del suo eccellente giornalismo risiedeva in un'intuizione fuori dal comune, che gli faceva scoprire talenti prima che si manifestassero pienamente. Per esempio, alla fine degli anni Sessanta si imbatté in un quartetto di Liverpool che aveva appena iniziato la sua carriera. Si chiamavano "The Beatles" ed erano ancora un gruppo rock come tanti. Minà li fece salire su una Fiat 600 e insieme girarono Roma, prima di diventare famosi e irraggiungibili.

Un altro aneddoto leggendario, quando aveva abbandonato la cronaca sportiva ed era già riconosciuto come un grande giornalista culturale, fu quando, una sera a Roma, ebbe come ospite Robert De Niro. Per una di quelle coincidenze con cui la vita ci sorprende, Minà ricevette una telefonata da Gabriel García Márquez. Era di passaggio in città e voleva vederlo. Lo disse a De Niro, che non volle perdere l'occasione di incontrare il grande scrittore colombiano. Di conseguenza, quella sera Gianni Minà ha cenato con due dei più grandi artisti del XX secolo. La cosa singolare di questo caso è che questi incontri non erano straordinari nella vita di Minà. Erano la sua vita ordinaria.

Una sera, a Reggio Emilia, durante la Festa nazionale dell'Unità, Gianni ha presentato, a migliaia di persone attente e rigorose, una tavola rotonda in cui sono intervenuti Rigoberta Menchú, Eduardo Galeano, Frei Betto, Lula (che si è presentato come un semplice sindacalista, ancora lontano dal sogno di diventare presidente del Brasile) e altre personalità. È stato un incontro magico e memorabile. Rigoberta, come sempre, conversava con allegria e umorismo, mirabilmente resiliente dopo le disgrazie subite; Galeano lanciava sarcasmi rioplatensi che centravano gli avversari come una freccia ironica; Frei Betto era serio e affettuoso, un sacerdote, del resto; Lula era un semplice sindacalista, che mascherava leggermente la mano in cui mancavano due dita, tagliate da una pressa industriale. Nessuno di loro sembrava rendersi conto di essere un personaggio; c'era autenticità nel suo abbraccio ai più poveri e indigenti della terra.

Gianni Minà aveva una caratteristica che può essere vista come una virtù o un difetto. Non era un uomo da mezze misure. Fedele alle sue idee e ai suoi amici, si imbarcava con tutta la passione del mondo e contro ogni previsione in imprese degne del Cavaliere della Mancia. Con una certa esagerazione, tutto ciò che nasceva in America Latina (e che, allo stesso tempo, lottava contro le dittature militari di lunga durata che affliggevano il continente) gli sembrava magnifico e splendido. Lancia alla mano, si mise a riparare i torti e ad attaccare i giganti che lo catturavano con le loro aspe e lo scagliavano nel vento. A dire il vero, con il mutare dei tempi e dei poteri, Minà fu ostracizzato dalla televisione, che aveva già intrapreso programmi di varietà e cabaret, a imitazione delle emittenti private. 

Notando che in Italia l'interesse per l'America Latina stava scemando (per molti era stata una specie di moda culturale), Gianni lanciò un'iniziativa controcorrente. Creò una sezione editoriale chiamata "Continente desaparecido", un'allusione all'evaporazione dell'entusiasmo di tanti ferventi inseguitori del nuovo, e pubblicò i migliori autori del continente. Anche in questo caso Minà ha lasciato una lezione. Non basta pubblicare un libro, aspettando che gli dei scendano a consacrarlo. Bisogna saperlo promuovere.

Per anni, Gianni Minà ha girato instancabilmente (o forse, vincendo la stanchezza) tutta la penisola italiana, nelle grandi città, ma soprattutto nei piccoli centri, sempre assetati di eventi e di buone letture. Ovunque andasse, riempiva aule, librerie e auditorium. Perché possedeva un dono inestimabile: il carisma. Non appena prendeva un microfono e si rivolgeva al suo vasto pubblico di ammiratori, si trasformava e affascinava le persone. Perché il fascino veniva da dentro, da un entusiasmo etico per il salvataggio degli abbandonati, dei diseredati, dei più poveri del pianeta. 

Ho conosciuto Gianni Minà in una delle presentazioni del libro Un continente desaparecido. Ero a Feltre, dove insegnavo a quell’epoca. Un’amica mi ha contattato, perché Minà, quella sera, aveva un evento alla periferia di Padova, non si sentiva bene e aveva bisogno di qualcuno che gli desse una mano. Non abituato alle manifestazioni massive, mi sono presentato con grande timore davanti al vasto pubblico di Minà. Erano in tanti a riempire la sala. Lui stava così e così, e mi spinse a parlare del mio argomento favorito, che era il suo: la letteratura latino-americana. Non andò tanto male come temevo, e lui, incurante dei miei impegni di lavoro, mi propose di continuare il giro per l’Italia, nelle presentazioni del libro.

Pochi mesi dopo, mi contattò di nuovo. Questa volta, con generosità, propose di redigere insieme la testimonianza di Rigoberta Menchù, che in italiano si chiama I maya e il mondo. Nacque così una lunga e affettuosa amicizia, che ci vide spesso, in diversi posti, a presentare i libri della collana. Inoltre, Gianni si adoperò per far pubblicare in italiano i miei romanzi.

Nel gennaio del 2000 lo presentai in Università Cattolica, in un evento chiamato “Mass media e letteratura”. La cattedra di Spagnolo aveva già presentato Carlos Fuentes, Antonio Muñoz Molina, Rigoberta Menchú. Gianni non fu da meno. Riuscì a catturare l’attenzione degli studenti per la sua semplicità, chiarezza, trasparenza e umanità. Perché è difficile attribuirgli un'ideologia o un'appartenenza settaria. Gianni Minà è sempre stato impegnato nel riscatto degli esseri umani, in ideali antichi come la libertà, l'uguaglianza e la giustizia. Questa era la fonte del suo inesauribile fascino.
 

Un articolo di

Dante Liano

Dante Liano

Docente di Letteratura spagnola - Università Cattolica

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