Nel Fedro di Platone Theuth, una divinità egizia, presenta al re dell’Egitto la sua ultima invenzione, la scrittura, consigliandogli di diffonderla tra il suo popolo perché «renderà gli egiziani più sapienti e più capaci di ricordare». Il re gli risponde che la scoperta della scrittura avrà un effetto funesto, provocherà «la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno» perché, scrive Platone, fidandosi della scrittura le persone «si abitueranno a ricordare» solamente attraverso essa. Marco Passarotti, direttore del Centro interdisciplinare di ricerche per la computerizzazione dei segni dell’espressione (Circse) e coordinatore del corso di laurea magistrale in Linguistic computing, sceglie il Mito di Theuth per spiegare ai tantissimi studenti che hanno partecipato all’evento “Come analizzare il linguaggio naturale con l'AI può migliorare le decisioni in azienda” che, in fondo, «il timore dell’automazione c’è sempre stato».
«Quando c’è una curva, o si va dritto o si curva» spiega Passarotti, durante il secondo appuntamento del ciclo “Humane intelligence. Trasformare l’Intelligenza Artificiale in una tecnologia positiva”. L’incontro è stato promosso da Humane Technology Lab (HTLab) dell’Università Cattolica, il Laboratorio diretto da Giuseppe Riva che esplora il rapporto tra esperienza umana e tecnologia, ed è stato moderato da Manuela Perrone, giornalista de Il Sole24Ore (leggi l’articolo su ilsole24ore.com). «L’intelligenza artificiale ha imparato ciò che sa sulla base dei dati con cui è stata addestrata» prosegue Passarotti. E si chiede: «Se l’intelligenza artificiale è basata su un’esperienza quantitativamente irraggiungibile da un essere umano, e se il tratto distintivo di un buon capo d’azienda è proprio l’esperienza, qual è il ruolo del manager aziendale? E qual è il fattore umano discriminante rispetto all’intelligenza artificiale?».
La risposta, secondo Passarotti, sta nel fatto che l’intelligenza artificiale è dotata di «conoscenza», intesa come l’insieme delle «correlazioni significative tra le informazioni». Questa è «la grande novità» della nuova tecnologia che, a differenza delle precedenti, non si limita al possesso di «informazioni» ma va oltre. È la «saggezza», al contrario, a rimanere caratteristica peculiare dell’uomo. Che è in grado di «comprendere la conoscenza», di «saperla applicare», di «saper fare la cosa giusta al momento giusto». Poi c’è la «creatività»: un buon manager aziendale è «colui che sa prendere decisioni creative» spiega Passarotti. «Anche l’intelligenza artificiale in parte è creativa, perché tra i dati vede correlazioni che noi non vediamo». Eppure, secondo il direttore del Circse, ha ragione la linguista americana Emily Bender quando definisce ChatGPT «un pappagallo stocastico, una macchina che ripete analogicamente quello che ha imparato dai dati». Perché «le correlazioni che la macchina vede le trova nei dati, non sa costruire correlazioni nuove e creative».