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Le campagne elettorali nell'era dell'intelligenza artificiale, cosa cambia?

03 maggio 2024

Le campagne elettorali nell'era dell'intelligenza artificiale, cosa cambia?

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Ve lo ricordate Garry Kasparov? Chi ha qualche capello bianco probabilmente serba il ricordo della sua lunga sfilza di titoli, prima come campione del mondo della Federazione scacchistica internazionale, dal 1985 al 1993, poi da campione mondiale della Federazione scacchistica professionale fondata dallo stesso Kasparov, fino al 2000. Chi è più giovane e appartiene alla “generazione Game Boy” potrebbe ricordarsi di lui per il videogioco Virtual Kasparov, sviluppato per la Playstation e, appunto, per il Game Boy Advance. Anche i giovanissimi di recente potrebbero averlo visto citato dalle testate giornalistiche, perché la Russia ha da poco inserito Kasparov, che è un oppositore di Vladimir Putin e dal 2013 vive negli Stati Uniti, nella lista di persone dichiarate “terroristi e estremisti”.

L’ex scacchista, però, è noto al grande pubblico per essere stato protagonista, nel 1996, della prima sfida della storia tra l’uomo e la macchina a suon di mosse sulla scacchiera. «Ebbe la meglio il campione del mondo, 5 a 1, ma la notizia era un’altra: il computer aveva vinto una partita» racconta Francesco Verderami, editorialista del Corriere della Sera, durante l’evento “Le campagne elettorali nell'era dell'Intelligenza artificiale” con il quale si è aperto il nuovo ciclo “Humane Intelligence. Trasformare l’intelligenza artificiale in una tecnologia positiva”. La serie di incontri è promossa da Humane Technology Lab (HTLab), il Laboratorio dell'Università Cattolica, diretto da Giuseppe Riva, che ha l'obiettivo di investigare il rapporto tra esperienza umana e tecnologia.

 

Nel moderare il primo di questi eventi, introdotto da Antonella Marchetti, direttrice del Dipartimento di Psicologia e membro del Consiglio scientifico di HTLab, Verderami sottolinea che, a partire da quella strana partita a scacchi, «nel giro di dieci anni i computer furono capaci di portare l’uomo all’irrilevanza. Ma i computer oggi sono stati superati da un algoritmo autodidatta, di proprietà di Google, che ha partorito nuove teorie scacchistiche vincenti, e molti campioni di scacchi si sono ritirati». Se dunque l’algoritmo prende il potere, e «si intrufola nella politica», si chiede l’editorialista del Corriere, non ce n’è più per nessuno? Come è possibile «fermare il vento?». 

Per rispondere alla domanda, è importante conoscere bene la rosa dei venti della politica e della democrazia, da dove soffino e con quale intensità. «Negli ultimi quindici anni l’elettorato occidentale, in particolare quello italiano, ha caratteristiche differenti rispetto al passato» spiega Damiano Palano, direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica e di Polidemos, il Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici. «È un elettorato distratto e sfiduciato nei confronti della politica e del fatto che la politica possa intervenire in maniera determinante sulla vita personale. Paradossalmente, però, l’elettore rimane fortemente polarizzato, con un proprio ancoraggio identitario. E questo è un elemento con cui deve fare i conti chiunque costruisca una campagna elettorale». In questo contesto, l’intelligenza artificiale è «uno strumento per costruire campagne sempre più efficaci e capaci di mobilitare gli elettori», perché «la mole di dati su cui essa può lavorare è enorme e in continua estensione».

Un articolo di

Francesco Berlucchi

Francesco Berlucchi

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Oltre agli «attori politici», poi, bisogna considerare anche «altri attori con interessi diversi, per esempio coloro che mirano alla destabilizzazione delle democrazie». Perché «una cosa è utilizzare l’intelligenza artificiale per produrre contenuti che vadano incontro agli elettori, un’altra cosa è produrre contenuti falsi che indeboliscano la credibilità di un leader politico». Tutto ciò, chiede Palano, come si limita con strumenti legislativi? Per raffreddare l’eccessivo pessimismo, chiosa il direttore di Polidemos, «dobbiamo tenere presente che spesso gli umani tendono ad essere spaventati dalle innovazioni, ma dopo qualche tempo, come il marziano di Ennio Flaiano, avranno capito come funziona». 

«L’intelligenza artificiale è generativa e conversazionale, cioè simula un dialogo» spiega Antonio Palmieri, presidente della Fondazione Pensiero Solido. «Noi tendiamo ad antropoformizzare la realtà. La macchina calcola qual è la parola più probabile da mettere in sequenza. L’essere umano tende ad aggregarsi con ciò che gli è simile. L’intelligenza artificiale funziona se noi decidiamo che la vogliamo usare». Il pericolo, dunque, è «la deresponsabilizzazione dell’uomo», perché «così costruiamo quella che Julio Velasco chiama la cultura degli alibi, un grande alibi che ci allontana dalla democrazia se pensiamo che tanto-vincono-gli-algoritmi».

In altre parole, racconta Palmieri, la «visione del potere deterministico assoluto degli algoritmi» è sbagliata perché «cancella l’enorme possibilità che ciascuno di noi ha di poter giocare la sua partita». Vale anche nell’era dell’intelligenza artificiale generativa e conversazionale. Una nuova era nella quale siamo solo all’inizio. «I “cattivi” ci sono, ma ci siamo sempre stati» chiosa Palmieri. «Così come i tentativi di inquinare le elezioni ci sono stati e ci saranno, ciò che cambia sono gli strumenti. Ma ciascuno di noi rimane autore del proprio destino». Anche di quello digitale. 
 

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